L'ora di Dio

Sezione seconda - Sullo Yoga


CERTEZZE

Nelle profondità si celano ulteriori profondità, nelle altezze un'altezza ancora maggiore. L'uomo giungerà più velocemente ai confini dell'infinito che alla pienezza del proprio essere, poiché quell'essere è l'infinito, è Dio.
Aspiro ad una forza infinita, ad una conoscenza senza limiti e ad una gioia infinita. Potrò mai ottenerla?
Si, ma la natura dell'infinito è di non avere fine.
Perciò non puoi dire io la ottengo, ma piuttosto io la divento. Solo così l'uomo può ottenere Dio, diventando Dio. Prima di giungere a divenire Dio l'uomo può entrare in relazione con Lui. Entrare in rapporto con Dio è Yoga, l'estasi più grande e l'occupazione più nobile.
Esistono rapporti tipici dello stadio attuale di evoluzione dell'umanità, chiamati preghiera, venerazione, adorazione, sacrificio, riflessione, fede, scienza e filosofia. Esistono altre relazioni che superano le nostre attuali capacità ed appartengono ad uno stadio evolutivo ancora da raggiungere. Tali sono le relazioni alle quali si giunge attraverso le pratiche conosciute sotto il nome di Yoga.
Possiamo non conoscerlo come Dio, ma come Natura, come il nostro Sé Superiore, come Infinito o come una qualche meta ineffabile. Così lo avvicinò Buddha, così lo avvicina il rigido Advaitin. Anche l'ateo può entrare in contatto con Lui. Al materialista Egli si rivela nella materia. Per il nichilista attende in agguato nel cuore dell'annichilimento.

In qualunque modo gli uomini vengano a Me, così vengono accolti dal Mio Amore.


CONCETTI E DEFINIZIONI INIZIALI

Quattro sono i poteri e gli strumenti dello Yoga: purezza, libertà, beatitudine e perfezione. Chiunque abbia portato a pienezza questi quattro poteri nel trascendentale, nell'universale, nel lilamaya e nel Dio individuale è lo Yogin perfetto ed assoluto. Tutte le manifestazioni di Dio sono manifestazioni del Parabrahman Assoluto.
Il Parabrahman Assoluto è per noi inconoscibile, non perché sia la negazione di tutto ciò che siamo - perché, al contrario, qualunque cosa siamo, in realtà o apparentemente, altro non è che Parabrahman - ma perché Quello è preesistente e sovrasta anche i metodi più elevati e puri e gli strumenti più potenti ed illimitati di cui l'anima incarnata dispone.
Nel Parabrahman la conoscenza cessa di essere conoscenza e diviene un'identità inesprimibile. Divieni Parabrahman se vuoi e se Quello te lo permetterà, ma non cercare di conoscerLo, perché non potrai avere successo con questi mezzi e questo corpo.
In realtà tu sei già Parabrahman, lo sei sempre stato e lo sarai per sempre. Per diventare Parabrahman in qualunque altro senso devi trascendere completamente il mondo della manifestazione e persino oltrepassare la trascendenza.
Perché dunque dovresti anelare a trascendere la manifestazione come se il mondo fosse un male? Non si è forse Quello manifestato in te e nel mondo e sei forse tu, anima incarnata, vittima dell'inganno mentale, più saggia, pura e migliore dell'Assoluto? Quando Quello ti riassorbirà dovrai andare, ma finché la Sua forza abiterà in te non potrai andare oltre, per quanto la tua mente possa lagnarsi o desiderarlo ardentemente. Perciò non desiderare e non evitare il mondo, ma piuttosto cerca la gioia, la purezza, la libertà e la grandezza di Dio qualunque siano il tuo stato e le tue circostanze.

Finché nutrirai un qualunque desiderio, fosse anche quello della non-nascita o della liberazione, non potrai raggiungere Parabrahman. Quello, infatti, non ha desideri, né di nascere, né di non nascere, né di appartenere al mondo, né di lasciare il mondo. L'Assoluto non è limitato dai tuoi desideri, come non è accessibile alla tua conoscenza.
Se tu volessi conoscere Paratpara Brahman lo conosceresti per come sceglie di manifestarSi nel mondo e trascendendo il mondo stesso - poiché anche la trascendenza è una relazione con il mondo e non il puro Assoluto - dato che in altro modo è inconoscibile. Questa è contemporaneamente la conoscenza e la non conoscenza del Vedanta.
Di Parabrahaman non dovremmo dire che Quello trascende il mondo o è immanente al mondo, o che è o non è in relazione con il mondo, perché tutte queste idee di mondo e non-mondo, di trascendenza, di immanenza e di relazione sono espressioni del pensiero tramite il quale la mente impone i propri valori alla manifestazione di Parabrahman, al Suo principio di conoscenza. Non possiamo asserire che qualcuno di essi, nemmeno il più elevato, sia la vera realtà di ciò che è al tempo stesso ogni cosa ed oltre ogni cosa, nulla ed oltre il nulla.
Un silenzio profondo e privo di pensieri è l'unica attitudine che l'anima manifestata nel mondo dovrebbe assumere nei confronti dell'Assoluto.
Di Parabrahman sappiamo che E', in un modo in cui nessun oggetto o stato può essere nel mondo, perché ogni volta che raggiungiamo gli estremi limiti dell'esperienza dell'anima, della mente o del corpo, giungiamo sull'orlo di Quello e lo percepiamo esistere, in modo inconoscibile, senza alcuna capacità da parte nostra di sperimentare su di esso una qualunque verità.

Quando la tua anima scendendo di profondità in profondità ed espandendosi di vastità in vastità si erge nel silenzio del proprio essere davanti ad uno sconosciuto inconoscibile, origine e meta dell'esistenza del mondo, non materialmente reale, né mentalmente reale, né sogno o falsità, sappi allora che sei alla presenza del Santo dei Santi, dinanzi al Velo che non può essere lacerato. Abitando il tuo corpo mortale non puoi lacerarlo, né in un altro corpo, né come sé incarnato e nemmeno come puro sé, né in stato di veglia, né durante il sonno, e nemmeno in trance, in nessuno stato ed in nessuna circostanza, perché devi essere oltre qualunque stato prima di poter entrare in Paratpara Brahman.
Quello è il Dio sconosciuto al quale non può essere innalzato alcun altare e che non può essere oggetto di adorazione; l'universo è il Suo unico altare e l'esistenza la Sua sola adorazione. Che noi siamo, sentiamo, pensiamo ed agiamo o che siamo ma non sentiamo, né pensiamo o agiamo è indifferente per Quello. Per Quello il santo è uguale al peccatore, l'attività all'inattività, l'uomo al mollusco, perché tutti egualmente Sue manifestazioni. Tutte le differenze sono al più sfumature del Parabrahman e Para Purusha, che è il Supremo che noi conosciamo ed il più prossimo all'Assoluto. Ma che cosa Quello sia dietro al velo o come dietro al velo consideri Se stesso e le Sue manifestazioni è qualcosa che nessuna mente può conoscere o di cui può parlare; egualmente presuntuoso è colui che Gli innalza e Gli dedica un altare e chi vuole descrivere lo Sconosciuto a coloro che sanno di non poterlo conoscere.
Non confondere il pensiero, non disorientare l'anima nel suo cammino di crescita; piuttosto rivolgiti all'Universo per conoscere in questo Quello, tad va etad, perché solo in questi termini si è manifestato per farsi conoscere da coloro che appartengono all'universo. Non lasciarti ingannare dall'Ignoranza; non farti ingannare dalla conoscenza; non esiste schiavitù, né libertà, né ricerca della libertà, ma solo Dio che gioca con queste cose nell'immenso potere del Suo Essere cosciente, para maya, mahimanam asya, che noi chiamiamo universo.


LO SCOPO DEL NOSTRO YOGA

Lo scopo del nostro Yoga è la perfezione di Sé e non l'annullamento di Sé.
Esistono due sentieri che lo Yogin può percorrere, quello del ritiro dall'universo e quello della perfezione nell'universo; il primo è il risultato dell'ascetismo, il secondo si compie attraverso tapasya; il primo ci accoglie quando ci lasciamo sfuggire Dio nell'Esistenza, il secondo è compiuto quando perfezioniamo l'esistenza in Dio. Che il nostro sia il cammino della perfezione e non della resa; che il nostro scopo sia la vittoria nel combattimento e non la fuga da ogni conflitto.
Buddha e Shankara ritennero il mondo fondamentalmente falso e miserabile, perciò la fuga dal mondo fu per loro l'unica forma di saggezza. Ma questo mondo è Brahman; il mondo è Dio; il mondo è Satyam; il mondo è Ananda; è solo la nostra errata interpretazione del mondo, filtrata dall'egoismo mentale, ad essere una falsità e la nostra relazione sbagliata con Dio nel mondo ad essere fonte di sofferenza. Non esiste altra falsità, né altra fonte di dolore.
Dio ha creato il mondo in Se Stesso attraverso Maya, ma il significato Vedico di Maya non è illusione, bensì saggezza, conoscenza, potere, ampia estensione della coscienza. Prajna prasrta purani. La saggezza onnipotente creò il mondo; il mondo non è l'errore grossolano di un Sognatore Infinito; il Potere onnisciente vi si manifesta o cela con tutto Se Stesso e con tutta la Sua Gioia. Il mondo non è un peso imposto al Brahman libero e assoluto dalla Sua stessa ignoranza.

Se il mondo fosse l'incubo che il Brahman ha imposto a se stesso, svegliarsi e porre fine all'incubo sarebbe la meta unica e naturale del nostro sforzo supremo; se la vita nel mondo fosse irrevocabilmente votata al dolore, qualunque mezzo per sfuggire a questo vincolo sarebbe l'unico segreto degno di essere svelato. Ma la verità perfetta nella vita del mondo è possibile, perché Dio vede ogni cosa con l'occhio della verità; la gioia perfetta nel mondo è possibile perché Dio gioisce di ogni cosa nella più completa libertà. Anche noi possiamo gioire di questa verità e di questa beatitudine, che i Veda chiamano amrtam, Immortalità se, immergendo la nostra esistenza egoica nella perfetta unità con il Suo essere, acconsentiamo a ricevere la percezione divina e la divina libertà.
Il mondo è un movimento di Dio nel Suo stesso essere; noi siamo centri e nodi della coscienza divina che comprende e sostiene il processo del Suo movimento. Il mondo è il Suo gioco in cui gioisce di Se Stesso, Egli che è il solo ad esistere, libero, infinito e perfetto; noi siamo le moltiplicazioni di quella gioia cosciente, catapultati nell'esistenza per essere i Suoi compagni di gioco. Il mondo è una formula, un ritmo, un sistema di simboli che rivela Dio a Se Stesso nella propria coscienza; non ha una realtà materiale perché esiste solo nella Sua coscienza e nella Sua espressione.
Noi, come Dio, siamo nel nostro essere interiore la Realtà espressa e nel nostro essere esteriore termini di quella formula, note di quel ritmo, simboli di quel sistema. Facciamo in modo di assecondare il movimento di Dio; giochiamo il Suo Gioco; interpretiamo la Sua formula e suoniamo la Sua armonia; esprimiamoLo in noi stessi nel Suo sistema. Questa è la nostra gioia e la nostra realizzazione; a tale scopo noi che trascendiamo e siamo più vasti dell'universo, siamo entrati nell'esistenza dell'universo.

Lo scopo è trovare la perfezione e raggiungere l'armonia. L'imperfezione, la limitazione, la morte, il dolore, l'ignoranza, la materia sono soltanto i primi termini della formula, incomprensibili finché non abbiamo scoperto i termini più vasti e reinterpretato la formula stessa; sono le dissonanze iniziali dell'accordatura musicale. Oltre l'imperfezione dobbiamo costruire la perfezione; oltre la limitazione scoprire l'infinito; oltre la morte trovare l'immortalità; oltre il dolore riscoprire la gioia divina; oltre l'ignoranza ritrovare la consapevolezza divina; oltre la materia rivelare lo Spirito. Perseguire questo fine per noi stessi e per l'umanità è lo scopo della nostra pratica Yogica.


IL GRANDE INTENTO DELLO YOGA

Per mezzo dello Yoga possiamo passare dalla menzogna alla verità, dalla debolezza alla forza, dal dolore e dalla sofferenza alla gioia, dalla schiavitù alla libertà, dalla morte all'immortalità, dall'oscurità alla luce, dalla confusione alla chiarezza, dall'imperfezione alla perfezione, dalla frammentazione all'unità, da Maya a Dio. Qualunque altro utilizzo dello Yoga porta solo vantaggi parziali e frammentari, non sempre degni di essere ottenuti. Solo ciò che aspira a possedere la pienezza di Dio è purna yoga ed il sadhaka della Perfezione Divina è il purna yogin.
Il nostro scopo deve consistere nell'essere perfetti come lo è Dio nel Suo essere e nella Sua gioia, puri come Egli è puro, beati come Egli è beato e, divenuti noi stessi siddha nel purna yoga, condurre tutta l'umanità alla stessa perfezione divina. Non ha importanza se al momento ci sentiamo inadeguati alla grandezza del nostro scopo, se comunque ci consacriamo con tutto il cuore al nostro compito e lo viviamo costantemente; se compiamo solo pochi passi lungo il cammino anche quel poco aiuterà l'umanità ad uscire dalla lotta e dal crepuscolo in cui si trova, per entrare nella Gioia luminosa che Dio le ha riservato. Qualunque sia il nostro successo immediato, il nostro scopo invariabile deve essere quello di compiere l'intero viaggio, evitando di fermarci soddisfatti lungo il sentiero in un luogo di riposo imperfetto.

Tutto lo Yoga che astrae completamente dal mondo è una sfaccettatura elevata ma limitata e parziale del tapasya divino. Dio nella Sua perfezione abbraccia ogni cosa ed anche noi dobbiamo diventare onnicomprensivi.
Dio nella Sua vera essenza, oltre ogni manifestazione e possibilità di conoscenza, è il Parabrahman Assoluto. In relazione al mondo egli trascende l'esistenza universale, sia che si volga verso di essa, sia che distolga da essa lo sguardo. Egli è ciò che contiene e sostiene l'universo; Egli è ciò che diviene l'universo; è l'universo e tutto ciò che contiene.
E' anche l'Individualità Assoluta e Suprema che agisce nell'universo e come universo. Nell'universo appare come la sua Anima ed il suo Signore; come universo egli è il moto della Volontà del Signore ed il risultato oggettivo e soggettivo di tale moto. Tutti gli stati del Brahman, il trascendente, l'immanente, l'universale, l'individuale sono informati e sostenuti dalla Personalità divina. Egli è contemporaneamente l'Esistente e l'esistenza.
Chiamiamo lo stato dell'esistenza il Brahman Impersonale e Esistente il Brahman Personale. Non c'è tra essi alcuna differenza se non per il loro ruolo nei confronti della nostra coscienza; infatti ogni stato impersonale dipende da una Personalità manifesta o segreta e può rivelare la Personalità che sostiene e vela, ed ogni Personalità si appoggia e si immerge in un'esistenza impersonale. Ciò è possibile perché il Personale e l'Impersonale sono soltanto diversi stati di autocoscienza di un unico Essere Assoluto.
Le filosofie e le religioni discutono sull'importanza dei diversi aspetti di Dio, e vari Yogin, Rishi e Santi hanno privilegiato una filosofia o una religione rispetto ad un'altra. A noi non interessa discutere di tutto ciò ma piuttosto comprendere e divenire tutto questo; non vogliamo privilegiare un aspetto particolare escludendo gli altri; vogliamo invece abbracciare Dio in tutti i Suoi aspetti ed oltre ogni manifestazione.

Dio disceso nel mondo in varie forme ha portato a compimento su questa terra la forma mentale e fisica che chiamiamo umanità.
Egli, tramite l'azione dell'Anima che governa ogni cosa con la propria Volontà creatrice, ha manifestato nel mondo un ritmo esistenziale con la Materia quale termine inferiore ed il puro essere come termine superiore. Mente e Vita si trovano al di sopra della Materia (Manas e Prana al di sopra di Annam) e costituiscono l'emisfero inferiore dell'esistenza manifestata nel mondo (aparardha); la coscienza pura e la gioia perfetta emanano dal puro Essere ( Cit e Ananda emanano da Sat) e costituiscono l'emisfero superiore dell'esistenza manifestata nel mondo. L'idea pura (Vijnana) è il collegamento tra i due emisferi. Questi sette principi o livelli di esistenza sono la base dei sette mondi dei Purana (Satyaloka, Tapas, Jana, Mahar, Swar, Bhuvar e Bhur).
L'emisfero inferiore di questo spettro di coscienza è costituito dai tre vyahrti del Veda, "Bhur, Bhuvar, Swar"; si tratta di stati di coscienza nei quali i principi del mondo superiore vengono espressi o cercano di esprimersi in modo limitato. Puri nel proprio luogo d'origine, in questo paese straniero sono soggetti a distorsioni, interferenze e perversioni. Lo scopo ultimo della vita è liberarsi dalle perversioni, dalle impurità e dalle interferenze per poterli esprimere perfettamente anche nelle condizioni ordinarie. La nostra vita sulla terra è la traduzione di un poema divino in linguaggio terrestre, un'armonia musicale espressa in parole.

L'Essere in Sat è uno nella molteplicità, l'uno che osserva la propria molteplicità senza perdersi o confondersi in essa; è la molteplicità che si riconosce come unità senza perdere il potere di manifestarsi in innumerevoli forme nell'universo.
Con la comparsa della mente, della vita e del corpo nasce ahamkara e la forma di coscienza soggettiva o oggettiva viene erroneamente considerata un essere separato, il corpo una realtà autonoma e l'ego una personalità indipendente. L'uno in noi si perde nella sua molteplicità e quando ritrova la propria unità, a causa della natura della mente, gli riesce difficile mantenere il suo gioco della molteplicità. Perciò quando siamo assorbiti dal mondo perdiamo Dio nella Sua Essenza e quando vediamo l'Essenza di Dio ce lo lasciamo sfuggire nel mondo. Il nostro compito è dissolvere l'ego mentale e ritrovare l'unità divina senza perdere il nostro potere di esistenza individuale e molteplice nell'universo.
La coscienza in Cit è luminosa, libera, immensa ed efficace; la consapevolezza di Cit (Jnana-Sakti) si realizza infallibilmente come Tapas (Kriya-sakti), perché Jnana-sakti e Kriya-sakti altro non sono rispettivamente se non l'aspetto statico, onnicomprensivo ed avvolgente e la forma del dinamismo creativo di un unico Essere Cosciente luminoso in sè. Si tratta un unico potere di forza cosciente di Dio (Cit-sakti del Sat Purusha).
Al contrario, nell'emisfero inferiore, assoggettata ai limiti della mente, della vita e del corpo, la luminosità si divide e si spezza in raggi irregolari; la libertà è ostacolata dalla presenza dell'ego e di forme diseguali e l'efficacia è velata da un gioco di forze non equilibrate. In tal modo abbiamo stati di coscienza, di non-coscienza e di falsa coscienza; esistono stati di conoscenza, di ignoranza e di falsa conoscenza, di forza efficace, d'inerzia e di forza inefficace. Nostro compito è fondere la nostra capacità di azione e di pensiero individuale, divisa e dall'andamento irregolare, nella Cit-sakti universale e indivisa di Kali, per sostituire alle attività del nostro ego l'azione della Kali universale nel nostro corpo e trasformare così la cecità e l'ignoranza in conoscenza e l'inefficace forza umana nella potente Forza divina.
La gioia in Ananda è perfetta, pura, una e contemporaneamente molteplice. Assoggettata ai limiti della mente, della vita e del corpo diviene frammentaria, limitata, confusa e deviata, ed a causa degli urti tra forze diseguali e della sua distribuzione non equilibrata, è soggetta alla dualità di movimenti positivi e negativi: sofferenza e gioia, dolore e piacere. Nostro compito è dissolvere queste dualità rimuovendone la causa per immergerci nell'oceano della gioia divina, una, molteplice, equamente distribuita (sama), che trae piacere da ogni cosa e non rifugge da nulla.
In breve, dobbiamo sostituire la dualità con l'unità, l'egoismo con la coscienza divina, l'ignoranza con la saggezza divina, trasformare il pensiero in conoscenza divina; dobbiamo sostituire la debolezza, la lotta e lo sforzo con la forza divina paga di se stessa, il dolore ed il piacere illusorio con la gioia divina. Tutto ciò nel linguaggio del Cristo è far scendere il regno dei cieli sulla terra, ed in linguaggio moderno realizzare e portare a compimento Dio nella realtà del mondo.
L'umanità è, sulla terra, la forma di vita prescelta per realizzare questa aspirazione e giungere al compimento divino; ogni altra forma di vita o non ne sente la necessità o non è in grado di giungere a tutto ciò, se non entrando a far parte dell'umanità. Di conseguenza la pienezza divina è l'unico scopo autentico dell'umanità. Tale pienezza deve realizzarsi nell'individuo per divenire effettiva nell'intera razza.
L'essere umano è un'esistenza mentale in un corpo vivente; il suo fondamento è la materia, il suo centro e strumento la mente ed il suo mezzo la vita. Questa è la condizione media tipica dell'umanità naturale.
In ogni essere umano giacciono nascosti (avyakta) i quattro principi più elevati. Mahas, idealità pura in Vijnana, non è un vyahrti ma la sorgente di ogni vyahrti, il punto di origine di ogni azione mentale, vitale e fisica, la banca nella quale l'infinita ricchezza dell'esistenza superiore viene cambiata nelle monete di piccolo taglio dell'esistenza inferiore. Essendo Vijnana il collegamento tra lo stato divino e l'animale umano, essa è la porta attraverso la quale l'uomo può giungere allo stato di umanità soprannaturale o divina.

Il genere umano inferiore gravita verso il basso, dalla mente verso la vita ed il corpo; l'umanità media vive costantemente nella mente limitata ed attratta dalla vita e dal corpo; l'umanità superiore tende verso un'esistenza mentale idealizzata o verso l'idea pura, verso la verità della conoscenza diretta e la verità spontanea dell'esistenza. L'umanità suprema si innalza fino alla beatitudine divina e da quel livello sceglie di salire verso il puro Sat e Parabrahman o di rimanere a beneficio di coloro che sono più indietro nel cammino per innalzare fino alla divinità questa esistenza umana in se stessa e negli altri.
L'uomo che abita nell'emisfero superiore o divino, nell'emisfero per ora nascosto della propria coscienza, l'uomo che ha scostato il velo, è il vero superuomo ed il risultato ultimo della manifestazione progressiva di Dio nel mondo, della manifestazione dello Spirito che emerge dalla Materia, che viene oggi chiamata principio evolutivo.
Giungere all'esistenza, alla forza, alla luce ed alla gioia divine e ricreare in quello stampo l'intera esistenza del mondo è l'aspirazione suprema della religione ed il vero scopo pratico dello Yoga. Il fine è realizzare Dio nell'universo, ma tale scopo non può essere raggiunto senza trovare il Dio che trascende l'universo.


PARABRAHMAN, MUKTI ED I SISTEMI DI PENSIERO UMANI

Parabrahman è l'Assoluto, e proprio per questo non può essere ridotto a termini che permettano di conoscerLo. In qualche modo puoi conoscere l'Infinito, mai l'Assoluto.
Ogni cosa nell'esistenza o nella non-esistenza è un simbolo dell'Assoluto, creato nell'autocoscienza (Cid-Atman). Attraverso i Suoi simboli l'Assoluto può essere conosciuto per quello che i simboli rivelano o indicano di Lui, ma la conoscenza della somma dei simboli non equivale alla vera conoscenza dell'Assoluto. Puoi divenire Parabrahman; non puoi conoscerLo. Divenire Parabrahman significa ritrovare Parabrahman attraverso l'autocoscienza, perché tu sei già Quello; soltanto, nella tua coscienza, hai proiettato te stesso verso l'esterno nei Suoi termini o simboli, Purusha e Prakriti, tramite i quali sostieni l'universo. Perciò per divenire Parabrahman privo di termini o simboli devi smettere di sostenere l'universo.
Divenendo Parabrahman privo di simboli non diventi nulla che tu già non sia, né l'universo cessa di esistere. Soltanto Dio ritira dall'oceano della coscienza manifestata un rivolo, un aspetto, di Se Stesso immergendolo in Ciò da cui ogni coscienza è scaturita.

Non tutti coloro che escono dalla coscienza dell'universo vanno necessariamente in Parabrahman. Alcuni entrano a far parte della Natura indifferenziata (Avyakrita Prakriti), altri si perdono in Dio, altri passano in uno stato di non esistenza e di oblio dell'universo (Asat, Sunya), altri ancora in uno stato di oblio luminoso, Puro Atman Indifferenziato, Puro Sat o Esistenza-Base dell'Universo; alcuni attraverso uno stato temporaneo di sonno profondo (Sushupti) vanno nei principi impersonali di Ananda, Cit o Sat. Tutte queste sono forme di liberazione e l'ego riceve da Dio, tramite la Sua Maya o Prakriti, l'impulso che lo spinge verso una di esse, quella verso la quale il supremo Purusha sceglie di dirigerlo.

Quelli che desidera liberare tenendoli nel mondo li rende Jivanmukta o li emette nuovamente come propri Vibhuti, con il consenso da parte loro ad indossare per lo scopo divino un velo temporaneo di Avidya, velo che non li offusca affatto e che possono scostare o eliminare con facilità.
Perciò desiderare ardentemente di diventare Parabrahaman è una specie di splendida illusione o di gioco sattvico di Maya, poiché in realtà nessuno è schiavo e nessuno è libero, non c'è nessuno che ha bisogno di essere liberato e tutto è solamente il Lila di Dio, il gioco di manifestazione di Parabrahman. Dio usa questa Maya sattvica per spingere certuni verso l'alto in accordo al Suo scopo particolare e per tali individui quello è l'unico sentiero possibile.
Lo scopo del nostro Yoga è Jivanmukti nell'universo; non perché abbiamo bisogno di essere liberati o per altre ragioni simili, ma perché tale è il volere di Dio in noi; dobbiamo perciò vivere liberi nel mondo e non al di fuori di esso.
Il Jivanmukta deve, in virtù della propria conoscenza perfetta e della completa realizzazione di sé, rimanere sulla soglia di Parabrahman, senza oltrepassarla. La convinzione che riporta dallo stare sulla soglia è che Quello E' e noi siamo Quello, ma ciò che Quello è o non è non può essere espresso in parole, né compreso dalla mente.

Essendo Egli l'Assoluto non è possibile applicare a Parabrahman alcuna definizione, né alcun concetto. Non è l'Essere o il non-Essere, ma qualcosa di cui l'Essere e il Non-Essere sono simboli primari; non è Atman o Non-Atman o Maya; né Personalità o Impersonalità, né Qualità o Non-Qualità, né Coscienza o Assenza di Coscienza, né Gioia o Assenza di Gioia, né Purusha o Prakriti; non è dio, né uomo o animale, né libertà o schiavitù, ma qualcosa di cui tutto ciò è un simbolo primario o derivato, generale o particolare. Perciò quando diciamo che Parabrahman non è né questo, né quello, intendiamo dire che nella sua essenza non può limitarsi a questo o a quel simbolo, né ad una qualunque somma di simboli; in un certo senso però Parabrahman è tutto questo e tutto questo è Parabrahman. Non esiste nient'altro che possa essere tutto ciò.
Essendo l'Assoluto, Parabrahman non è soggetto alla logica, perché la logica si applica solamente a ciò che è determinato. Creiamo confusione se diciamo che l'Assoluto non può manifestare il determinato e quindi che l'universo è falso o non esistente. La vera natura dell'Assoluto è tale per cui non sappiamo ciò che l'Assoluto è o non è; non sappiamo ciò che può fare e ciò che non può fare; non c'è ragione di supporre che ci sia qualcosa che non può fare o che la sua Assolutezza sia limitata da una qualunque forma di impotenza. Sperimentiamo spiritualmente che quando oltrepassiamo ogni altra cosa arriviamo all'Assoluto; sperimentiamo spiritualmente che l'universo nella natura stessa della propria manifestazione procede dall'Assoluto, ma tutte queste parole sono meri tentativi intellettuali di esprimere l'inesprimibile. Dobbiamo renderci conto che facciamo del nostro meglio per vedere, senza bisogno di discutere ciò che altri vedono o affermano; piuttosto dovremmo accettare la loro opinione e cercare a modo nostro di capire e verificare ciò che hanno visto o affermato. Dovremmo argomentare solamente con coloro che denigrano la visione altrui o negano la libertà di visione ed il valore delle affermazioni altrui, non con coloro che si limitano ad affermare il proprio modo di vedere.

Un sistema filosofico o religioso è soltanto una definizione di un certo modo di manifestarsi dell'esistenza nell'universo, modo che Dio ci ha rivelato in relazione al nostro stato d'essere. Esiste per fornire alla mente qualcosa su cui appoggiarsi mentre agiamo in Prakriti. La nostra visione non deve necessariamente coincidere con la visione altrui, né il tipo di pensieri che si adattano ai nostri schemi mentali devono necessariamente adattarsi ad una mentalità diversa. Perciò la nostra visione intellettuale dovrebbe essere basata sulla fermezza di adesione al nostro sistema, senza cadere nel dogmatismo, unita alla tolleranza priva di debolezza verso gli altri sistemi.
Qualcuno potrà mettere in discussione il tuo sistema basandosi sul fatto che non è consistente con questo o quest'altro Sastra, con la visione di questa o quest'altra grande autorità, filosofo, santo o Avatar. Ricorda allora che soltanto l'esperienza e la realizzazione sono importanti. Ciò che Shankara affermò o Vivekananda concepì intellettualmente riguardo all'esistenza, e persino ciò che Ramakrisha stabilì dall'alto delle sue molteplici esperienze spirituali, ha valore per te soltanto se, guidato da Dio, lo accetti e lo rinnovi attraverso la tua esperienza personale. Le opinioni dei pensatori, dei santi e degli Avatar dovrebbero essere accettate come aiuti e non trasformarsi in ceppi. L'importante per te è quello che tu stesso hai visto o ciò che Dio, nel suo aspetto Personale o Impersonale, o attraverso l'azione di un insegnante, un guru o un ricercatore della verità, decide di mostrarti lungo il cammino dello Yoga.


IL FINE EVOLUTIVO DELLO YOGA

Nella Katha Upanishad compare una delle frasi potenti e pregnanti, così frequenti nelle Upanishad, che racchiudono in poche parole un mondo di significati: Yogah hi prabhavapayayau, che significa lo "Lo Yoga è il principio e la fine di ogni cosa". Nei Purana il significato della frase viene chiarito ed approfondito.
Per mezzo dello Yoga Dio creò il mondo; con lo Yoga lo riassorbirà in Se Stesso alla fine. Non soltanto la creazione e la dissoluzione finale dell'universo, ma tutti i grandi cambiamenti, le creazioni, le evoluzioni e le distruzioni sono influenzate dal processo fondamentale dello Yoga, tapasya. In questa antica visione lo Yoga è considerato il movimento essenziale, la vera forza esecutiva della Natura, responsabile di tutti i suoi processi. Se ciò vale per le operazioni generali della Natura, se cioè una Conoscenza ed una Volontà divine insite in ogni cosa sono la vera causa di ogni forza e di ogni efficacia, la stessa regola deve valere a maggior ragione per le attività umane. Deve applicarsi in particolare a quei processi consci e volontari della disciplina psicologica denominati sistemi Yogici. Lo Yoga non è davvero altro che un processo naturale, volontario e consapevole per raggiungere rapidamente obiettivi ai quali il movimento naturale ordinario tende lentamente, al ritmo tranquillo di un'evoluzione secolare o addirittura millenaria.
Apparentemente sembra esserci una differenza. Lo scopo che ci proponiamo nello Yoga è Dio; lo scopo della Natura è di rendere effettiva la supernatura, ma tali scopi sono le due facce della stessa medaglia. Dio e la supernatura sono l'uno l'aspetto reale e l'altra quello formale di una realizzazione, di una completezza inaccessibile, verso la quale è diretto il cammino ascendente dell'umanità.

Lo Yoga per l'uomo è il cammino ascendente della Natura, liberata da una lenta evoluzione e da lunghe ricadute, e consapevole di Sé nella conoscenza divina o umana. Dio è il Tutto ed al tempo stesso supera il Tutto e Lo Trascende; non c'è nulla nell'esistenza che non sia Dio, ma Dio non è la somma di tutto ciò che esiste, né qualcosa che appartiene all'esistenza, se non simbolicamente, nell'immagine della Propria coscienza. In altre parole, tutto ciò che esiste, preso separatamente, è un simbolo particolare e l'intera somma dell'esistenza è un simbolo generale che cerca di tradurre l'esistenza intraducibile, Dio, nel linguaggio della coscienza del mondo.
Il simbolo è progettato per tentare e non per riuscire, perché nel momento in cui riuscisse cesserebbe di essere ciò che è e diverrebbe esso stesso quel qualcosa di intraducibile da cui è partito e cioè Dio. Nessun simbolo è pensato per esprimere Dio perfettamente, nemmeno il più elevato; ma è privilegio dei simboli più elevati perdere in Lui la propria definizione separata, cessare di essere simboli e divenire nella coscienza ciò che rappresentano.
L'Umanità è un tale simbolo o immagine di Dio; siamo fatti, secondo la frase Biblica, a Sua immagine. Con ciò non si intende un'immagine formale, ma l'immagine del Suo essere e della Sua personalità; siamo fatti dell'essenza e della qualità della Sua divinità; siamo formati nello stampo e portiamo l'impronta di un essere divino e di una coscienza divina.
In tutto ciò che esiste a livello fenomenico, o per meglio dire andando più in profondità nella natura delle cose, simbolicamente, esistono due parti dell'essere, la cosa in sé ed il simbolo, il Sé e la Natura, res (ciò che è) e factum (ciò che è creato o costruito), l'essere immutabile ed il divenire mutevole, ciò che è oltre la natura e ciò che è naturale.
Ogni stato di esistenza ha in sé una forza che lo porta a trascendere se stesso. La Materia tende a divenire Vita; la Vita si muove per diventare Mente; la Mente aspira a divenire Verità ideale, la Verità si innalza fino a diventare Spirito divino ed infinito. La ragione di ciò è che ogni simbolo, essendo un'espressione parziale di Dio, si protende e cerca di realizzare la propria realtà completa; aspira a divenire il proprio sé reale trascendendo la propria natura apparente. Ciò che è creato è attratto da ciò che esiste in sé; il divenire tende verso l'essere, il naturale verso il soprannaturale, il simbolo verso la 'cosa-in-sé' e la Natura verso Dio.

Di conseguenza, il movimento ascendente è la via per la realizzazione di sé in questo mondo, ma non è un imperativo per ogni cosa. Infatti esistono tre condizioni in cui ogni esistenza mutevole può trovarsi: il movimento ascendente, lo stato di arresto e la caduta verso il basso.
La natura nei suoi stadi inferiori si muove verso l'alto a livello collettivo, cercando la salvezza finale solo per un numero limitato dei suoi membri. Non da ogni forma di materia nasce la vita, nonostante ogni forma di materia brulichi dello spirito di vita e sia pregna del suo urgente bisogno di liberarsi e di manifestarsi. Non ogni forma di vita dà origine alla mente, anche se la mente è presente in ogni forma di vita, insistente, alla ricerca della propria liberazione e manifestazione. Neppure ogni essere mentale è adatto a manifestare la Verità ideale, nonostante in ogni essere mentale, - nel cane, nella scimmia e nel verme non meno che nell'uomo -, lo spirito di verità e di conoscenza imprigionato cerchi la via per la liberazione e per l'espressione di sé.
La natura per ogni piano della propria costruzione cerca in primo luogo di assicurare l'esistenza delle sue creature di quel piano; solo dopo che questo obiettivo primario è stato raggiunto cerca attraverso le creature più adatte di superare la propria opera, di rompere ciò che ha costruito per andare oltre e raggiungere qualcos'altro. E' solo quando giunge all'uomo che dispone di un genere nel quale ogni individuo è essenzialmente in grado di realizzare dentro sé non solo ciò che è naturale ma anche ciò che trascende la natura, ed anche questo è vero con le dovute eccezioni ed in gradi diversi a seconda degli individui. Di tutto ciò conviene però parlare dettagliatamente in un altro momento.
Ciò nonostante, rimane vero che il movimento ascendente è la tendenza primaria della natura; lo stato di arresto è una realizzazione inferiore, e se perfetta, una perfezione passeggera, transitoria. Si tratta di una perfezione nei reami della lotta e nell'ambito delle forme mutevoli, una realizzazione nel regno di Ashanaya Mrityu, la Fame che è morte, la Fame che crea e si nutre delle proprie creature.

Il movimento ascendente è quello che ci conduce dalla morte all'immortalità e realizza su questa terra e nel corpo il Regno dei Cieli luminoso e beato; la caduta verso il basso è distruzione, è l'Inferno, la grande perdizione, mahati vinastih.
La Gita indica l'esistenza di tre gati o stati finali del divenire, uttama, madhyama, adhama, superiore, intermedio ed inferiore, tra i quali l'umanità può scegliere. Ognuno di noi deve scegliere. A seconda di come scegliamo, Dio si realizzerà in noi attraverso una soddisfazione umana passeggera, una perfezione divina o una decomposizione della nostra umanità nel fecondo materiale di scarto della Natura.
Ogni stato naturale è quindi un passo verso un qualche stato soprannaturale, verso qualcosa di per se stesso naturale ma superiore a ciò che lo precede. La Vita è soprannaturale per la Materia; la Mente è soprannaturale per la Vita; l'Essere Ideale è soprannaturale per la Mente e lo Spirito Infinito è soprannaturale per l'Essere Ideale. Perciò dobbiamo accettare come nostra meta il soprannaturale, perché la tendenza della nostra natura verso la supernatura che la sovrasta è un imperativo del Potere del Mondo, al quale si deve obbedire in modo indiscusso e senza ribellione.
E' a questo punto che la Fede diventa importante, e la Religione, se non corrotta, diviene di grande utilità, poiché la nostra mente cerca di restare ancorata alla propria natura ed è scettica riguardo alla possibilità di superarla. La fede e la religione furono un dono della Saggezza Universale dell'Energia per abituare l'uomo naturale e puramente mentale ai richiami della sua anima ideale, che cerca sempre di uscire dal crepuscolo nella luce del giorno, di emergere dall'oscurità nella quale brancola verso la verità, di lasciare le impressioni dei sensi ed il ragionamento per arrivare alla visione e all'esperienza diretta. La tendenza ascendente è imposta su di noi e non possiamo resisterle per sempre; prima o poi Dio imporrà su di noi le Sue mani e ci spingerà a salire lungo il pendio scosceso così difficoltoso per i nostri passi non ancora rigenerati.

Allo stesso modo in cui l'animale tende verso l'umanità e nei suoi esemplari più flessibili raggiunge un certo tipo di umanità, con la stessa sicurezza con cui la comparsa della scimmia e della formica ha portato inevitabilmente alla venuta dell'uomo, così l'uomo evolve verso il divino ed attraverso gli individui più capaci si avvicina sempre più alla divinità ottenendo una specie di deità, e poiché il genio ed il santo sono una realtà l'uomo è costretto a sviluppare dentro e fuori di sé il superuomo, il siddha purusa.
Per giungere a questa conclusione non occorrono poteri profetici o rivelazioni; è l'inevitabile corollario delle precedenti dimostrazioni che la Natura ha fornito nel suo vasto laboratorio. Dobbiamo trascendere la Natura, per divenire la Supernatura, ma da quanto detto in precedenza si deduce che dovremmo procedere servendoci di qualcosa che è ancora imprigionato nella Natura stessa, seguendo la strada che la Natura stessa sta tentando di aprire per noi.
Cedendo alla nostra natura ordinaria ci allontaniamo dalla Natura stessa e da Dio; trascendendo la Natura soddisfiamo il suo impulso più forte; realizziamo tutte le sue possibilità e ci innalziamo verso Dio. L'umano dapprima tocca il divino e poi diviene il divino stesso.
Esistono uomini che cercano di uccidere la Natura per divenire il Sé. Dovremmo forse seguirli?
Certamente no, per quanto sublime ed elevato sia il loro sentiero e per quanto possente e splendida sia la loro aspirazione, perché ciò non è il volere di Dio per l'umanità e quindi non è il nostro vero dharma. Lasciate pure che qualcuno dica, se vuole, che abbiamo operato una scelta inferiore. Risponderemo nel linguaggio della Gita sreyan svadharmo vigunah: migliore è la legge del nostro essere sebbene inferiore, perché troppo pericolosa è la legge superiore di un altro essere. Obbedire alla volontà di Dio in noi è senz'altro più gioioso, e forse anche più divino, che innalzarsi fino alle austere altezze dell'Advaitin e giungere all'ineffabile annullamento di sé in un'Esistenza indefinibile. A noi basta l'abbraccio di Krishna e la gloria del grembo possente di Kali. Dobbiamo trascendere e possedere la Natura, non certo ucciderla.

Ad ogni modo, qualunque possa essere la scelta riservata ad individui eccezionali, ciò che noi cerchiamo senza dubbio o esitazione alcuna, è un sentiero di realizzazione suprema per l'umanità in generale, perciò non ti propongo attraverso lo Yoga un cammino individuale incurante del resto dell'umanità. Né le esagerazioni della spiritualità, né quelle del materialismo sono il nostro autentico sentiero. Qualunque movimento umano che neghi la Natura, sia esso religioso, nobile o ascetico, pur se di una spiritualità e di una purezza accecante, ha sempre portato e sempre porterà con sé fallimento, frustrazione, disillusione e perversione, perché per sua stessa natura rappresenta per la massa dell'umanità un impulso passeggero verso l'esagerazione, in quanto contraddice ciò che Dio ha stabilito facendo della Natura un elemento indispensabile per la Sua realizzazione nell'universo e di noi degli strumenti prescelti e dei collaboratori per l'opera della realizzazione divina sulla terra.
Qualunque movimento umano che ci inviti ad accontentarci della nostra Natura ordinaria, a soggiornare sulla terra, a cessare di aspirare al nostro Cielo interiore ed a scegliere di vivere come animali protesi verso il nostro futuro mortale ed attratti verso il basso dalla terra che coltiviamo e non verso l'alto da Dio e dalla nostra aspirazione inappagata, è destinato a portare noia, stagnazione, a finire ben presto o a suscitare una reazione repentina e violenta verso il soprannaturale, perché anche questo rappresenta per la massa dell'umanità un impulso passeggero verso l'esagerazione ed è contrario al piano di Dio che è entrato in noi ed abita segretamente nella nostra natura per attirarci verso di Sé con una forza istintiva, globale e travolgente.

I movimenti materialisti sono più innaturali delle religioni ascetiche e delle filosofie basate sulla negazione, perché queste almeno ci spingono ad innalzarci, anche se vanno troppo veloci e conducono troppo lontano per la nostra umanità; il materialista invece con la pretesa di farci ritornare alla Natura ci separa completamente da lei. Egli dimentica o non vede che la Natura è tale solo a livello fenomenico, ma in realtà è Dio. L'elemento divino in lei è ciò che veramente ed essenzialmente è; il resto è solo una condizione accessoria, parte del processo di rivelazione progressiva della divinità segreta. Egli dimentica anche che la natura è in evoluzione, e non pienamente evoluta, e quindi ciò che siamo ora non può mai essere un termine di paragone per stabilire ciò che saremo domani. Il soprannaturale non può che essere la vera logica delle cose, lo scopo e la meta del divenire. Perciò, la prima cosa che dobbiamo imparare, se vogliamo essere yogin completi e procedere con sicurezza verso la nostra perfezione divina, è di non essere intrappolati, non rimanere impantanati e vincolati dalla Natura e nello stesso tempo non accanirci contro di lei e distruggerla. Tutti gli esseri, anche i saggi, seguono la propria natura; e che vantaggio potranno mai procurare la costrizione e la tortura? Prakrtim yanthi bhutani, nigrahah kim karisyati? Ed è tutto talmente inutile! Ti senti intrappolato da lei e desideri ardentemente la liberazione? Solo nelle sue mani troverai la chiave che scioglierà i tuoi ceppi. Si frappone forse tra te ed il Signore? Lei è Sita; pregala, e si farà da parte per mostrarti il Suo volto; non credere però di poter separare Sita da Rama, di poterla relegare prigioniera in qualche lontana Lanca per possedere Rama tutto per te in Ayodhya. Lotta con Kali, se vuoi; Kali ama un buon combattente; ma non combattere con lei in modo freddo e distaccato o con odio e ripugnanza, perché la sua irritazione è terribile e distrugge gli Asura, pur amandoli. Piuttosto studiala attentamente e poniti sotto la sua protezione; avvicinati a Lei con la giusta comprensione e con Volontà pura e risoluta; ti condurrà magari girando intorno, ma nel modo più sicuro e saggio verso la Persona Beata e la Presenza Ineffabile.

La Natura è il Potere stesso di Dio che guida la moltitudine degli esseri attraverso la notte ed il deserto, oltre le linee nemiche, verso l'eredità segreta che è stata loro promessa. La supernatura, quindi, è sotto ogni spetto lo scopo del nostro Yoga; rimanere naturali nel mondo e trascendere la natura nell'interiorità in modo tale da poter, sia interiormente che esteriormente, prendere possesso della Natura e godere di lei come esseri liberi e signori, svarat e samrat ; restando un simbolo in un mondo di esseri-simbolo raggiungere ciò che il simbolo rappresenta, realizzare il simbolo; continuando ad essere un membro dell'umanità, un uomo tra gli uomini, un corpo vivente tra corpi viventi, manus, un essere mentale ospitato dalla materia vivente tra altri esseri mentali rivestiti di materia vivente, essendo e restando uguali nei nostri aspetti esteriori, oltrepassare tutto ciò e divenire nel corpo quello che in realtà siamo nel nostro sé segreto: Dio, spirito, essere supremo ed infinito, pura Beatitudine fatta di gioia divina, pura Forza di azione divina, pura Luce di conoscenza divina. La nostra vita apparente ha soltanto un valore simbolico ed è buona e necessaria nel divenire; ma ogni divenire ha l'essere come proprio fine e come propria realizzazione, e Dio è l'unico essere.
Diventare divini nella natura del mondo e nel simbolo dell'umanità é la perfezione per la quale siamo stati creati.


LA PIENEZZA DELLO YOGA NELLA LIMITAZIONE

Dobbiamo oltrepassare la nostra condizione umana e diventare divini; per poter fare questo dobbiamo prima comprendere Dio, perché l'ego è la parte inferiore ed imperfetta del nostro essere e Dio l'aspetto superiore e perfetto. Egli è colui che detiene la nostra supernatura e senza il Suo permesso non può esserci alcuna vera rinascita. Il finito non può diventare infinito se non percepisce la propria infinità segreta e non è attirato da e verso di essa; né può l'essere-simbolo, a meno che non intuisca, ami e persegua in se stesso il Vero Essere, superare con le sue sole forze i limiti della sua natura apparente. E' una forma particolare del divenire ed è limitato alla natura del simbolo che deve diventare; solo il tocco di ciò che comprende ed oltrepassa ogni divenire può liberarlo dai vincoli della sua Natura limitata. Dio è Tutto e trascende il Tutto. Di conseguenza soltanto la conoscenza, l'amore ed il possesso di Dio possono renderci liberi.
Soltanto il Trascendente può renderci capaci di trascendere noi stessi; solo Colui che è universale può renderci vasti, facendoci oltrepassare i limiti della nostra esistenza particolare. Tutto ciò giustifica l'esistenza di quella forza della Natura, potente ed indistruttibile, che il Razionalismo ha disprezzato ingiustamente e stupidamente: la Religione. Sto parlando di religione - non di un credo, di una chiesa o di una visione teologica, perché queste sono forme esteriori di religiosità piuttosto che l'essenza della religione o la sua vera azione, - di quella religione intima e personale, questione di temperamento, spirito e vita, non di opinioni o azioni rituali, che trascina l'uomo completamente ed appassionatamente verso la sua personale visione del Supremo o verso l'idea di qualcosa di superiore a se stesso, che egli sente di dover seguire o diventare. Senza una fervente adorazione del Supremo nel cuore, una potente aspirazione nella volontà o una sete veemente di Lui nel temperamento, non possiamo avere l'impulso di diventare qualcosa di diverso da noi stessi o la forza di fare qualcosa di così difficoltoso come trascendere la nostra natura umana radicata e possessiva.

I profeti hanno parlato e gli Avatar sono scesi sulla terra sempre ad unico scopo: richiamare la nostra attenzione su Dio, farci tendere con tutte le nostre forze verso questa chiamata e predisporre qualcosa nel mondo in grado di avvicinare l'umanità alla meta del suo difficile cammino ascendente.
A prima vista può sembrare che la religione e lo spirito religioso non siano necessari. Se lo scopo è superare l'uomo ed evolvere verso il superuomo, se il paradigma evolutivo corrisponde a verità, - e l'uomo si è evoluto dalla scimmia, la scimmia dagli animali inferiori, questi a loro volta da molluschi, protoplasmi, meduse e forme tra l'animale ed il vegetale -, che necessità c'è di qualcosa di diverso dall'addestramento, meglio se il più intelligente e scientifico possibile, delle nostre energie mentali, morali e fisiche, fino a che non siano trasformate dall'alchimia psichica della Natura nel genere superiore che deve venire?
Il problema non è davvero così semplice.
In questa domanda scettica si nascondo tre errori basilari. Con essa fraintendiamo il genere di operazioni da effettuare, le caratteristiche del potere e del processo che le compie e la natura di ciò che utilizza il potere e che progetta il processo.
La Natura non propone all'uomo di elaborare un esemplare superiore a livello mentale, morale e fisico variando il modello dell'attuale essere umano, del simbolo che siamo; propone di spaccare il modello generale della specie per arrivare ad un nuovo essere-simbolo che sarà soprannaturale per l'uomo attuale come l'uomo lo è per l'animale. E' opinabile che la Natura possa migliorare il modello puramente umano più di quanto non abbia fatto finora; che possa generare ad esempio un modello mentale migliore di Newton, Shakespeare, Cesare o Napoleone, un modello etico superiore a Buddha, Cristo o San Francesco, un modello fisico più potente dell'atleta Greco antico, o per fare esempi moderni, di un Sandow o di un Ramamurti. Può cercare di creare una migliore combinazione di energie mentali e morali, o morali, mentali e fisiche, ma può davvero oltrepassare il livello raggiunto da Confucio e Socrate?

E' più probabile, e sembra essere vero, che la Natura cerchi di generalizzare un livello più elevato ed una migliore combinazione di energie mentali, morali e fisiche. Non dobbiamo però credere che il suo scopo sia portare tutti gli uomini allo stesso livello, poiché ciò può avvenire solo tramite un livellamento in basso. Nulla in Natura è privo di diseguaglianze, tranne le forme inferiori e meno evolute. Maggiore è lo sforzo compiuto e migliore è la dotazione dell'organismo in una certa specie, maggiori sono le possibilità di disuguaglianza. In una specie evoluta come quella Umana, l'uguaglianza delle opportunità individuali è concepibile, ma l'uguaglianza delle capacità e dei talenti naturali è una vana chimera. Né si può dire che la diffusione delle conoscenze o l'aumento degli strumenti materiali influenzino le capacità naturali. Tutte le scoperte degli scienziati moderni e le innumerevoli conoscenze disponibili non rendono l'uomo attuale mentalmente superiore ad Aristotele o a Socrate, né gli danno maggiori acutezza e potenza mentali. Le diverse espressioni della filantropia moderna non lo rendono moralmente superiore a Buddha o a San Francesco; l'invenzione dell'automobile non gli restituisce l'agilità e la velocità perdute, né la ginnastica gli conferisce la prestanza fisica della razza negra o degli indiani d'America. Da ciò vediamo i limiti delle possibilità della Natura nel simbolo umano, imposti dalle caratteristiche intrinseche al simbolo stesso e riconosciuti dalla Natura nel suo sforzo per la trasformazione.
E' da stabilire se entro tali limiti la preoccupazione principale della Natura sia quella di esaurire tutte le possibilità del simbolo umano. Questa sembra piuttosto la preoccupazione dell'essere umano e quindi la direzione che la Natura sceglie quando l'intelletto umano interferisce con l'andamento naturale. Lasciata a se stessa, o soggetta all'interferenza umana, la Natura sembra più occupata a rompere lo stampo che a perfezionarlo, anche se solamente nei suoi individui più avanzati e nelle sue sperimentazioni più ardite e con il dovuto riguardo per la salvezza del genere umano in quanto tale; questo è sempre il metodo che predilige quando vuole far emergere un nuovo simbolo senza distruggere le specie preesistenti.
Più l'uomo diviene civilizzato, più la Natura lo affligge con deformità morali, eccessi e mescolanza di vizi e virtù; più diviene intellettuale e porta all'estremo la propria razionalità, più la Natura si mostra insoddisfatta e lo spinge a sviluppare piuttosto i propri istinti e le proprie intuizioni; più egli combatte per la salute e l'igiene, più lei moltiplica le malattie della mente e del corpo. Non appena l'uomo sembra aver trionfato sul soprannaturale, riducendo la Natura a termini materiali, razionali ed umani ecco che quest'ultima se ne esce improvvisamente ed aggressivamente con impensabili ondate di ritorno esagerato al soprannaturale.

Qualunque sia l'opera che decide di intraprendere non si lascerà ostacolare dalla limitatezza della ragione umana. Nell'immensa vastità del proprio essere percepisce la pulsazione di un potere soprannaturale, l'opera ed il lavorio di una conoscenza superiore alla ragione materiale; perciò prorompe, obbliga ed insiste. Dovunque vediamo i suoi tentativi di rompere il genere mentale, morale e fisico che ha creato per oltrepassarlo e creare nuovi processi non ancora definiti. Attacca deliberatamente la pienezza della salute e dell'equilibrio del nostro essere intellettuale, morale e fisico. Soffre anche di una tendenza all'esagerazione: strutture colossali, combinazioni colossali, altezze e velocità colossali, sogni ed ambizioni colossali compaiono un po' dappertutto, più o meno chiaramente o velatamente. Ancora incapace di realizzare il proprio volere nell'individuo, opera con le masse; non potendo agire nella mente manifesta il proprio potere attraverso forme materiali ed invenzioni; incapace di compimenti reali si esprime con sogni e speranze. Incapace di ricreare dei 'Napoleoni' o creare dei 'Super-Napoleoni', innalza il livello generale delle capacità umane dal quale potranno emergere più facilmente dei tipi superiori, ed intanto crea corazzate e super corazzate, potenze mondiali, inventa armi di distruzione a distanza e sembra furiosamente decisa a fare a pezzi le limitazioni di tempo e spazio da lei stessa create.
Come per indicare ciò che intende raggiungere, riunisce i segni di questo processo di distruzione e ricostruzione nel genio. E' risaputo che difficilmente la genialità si manifesta priva, nella fase emergente o in ogni sua fase, di anomalie nel corpo, nel vitale e nella mente che la contiene; spesso si accompagna a fattori degenerativi, a manifestazioni di follia, ad anomalie nell'ereditarietà , creando disordini e fenomeni straordinari nell'ambiente in cui si manifesta. La tendenza spiccata a generalizzare in maniera affrettata porta a concludere che il genio stesso è un fenomeno morboso, connesso con la malattia mentale o con la degenerazione, ma la vera spiegazione di questi fenomeni è piuttosto chiara.

Per instaurare il genio nel sistema umano la Natura è costretta a disturbarne ed a romperne parzialmente la normalità , perché sta introducendo in esso un elemento estraneo e superiore al genere che vuole arricchire. Il Genio non è l'evoluzione perfetta di quell'elemento nuovo e divino; è soltanto un inizio o, al massimo, un'approssimazione parziale. Procede in modo incostante ed incerto nell'enorme massa di disordine dell'atmosfera mentale, dell'instabilità vitale e dell'animalità fisica umana. In se stessa la cosa è divina; è soltanto lo stampo in cui opera che è ,in misura maggiore o minore, frantumato o incrinato dalla forza non assimilata che lo riempie. Talvolta un raggio dell'intruso divino si protende verso lo stampo per sostenerlo affinché non si rompa, né si incrini, o affinché si verifichino solo disordini lievi e trascurabili. Tale elemento era presente in Cesare, Shakespeare e Goethe.
Talvolta si manifesta anche una forza che non possiamo definire genio, se non commettendo un errore di terminologia. Allora coloro che hanno occhi per vedere si inchinano riconoscendo l'Avatar. La missione dell'Avatar è spesso quella di incarnare, completamente o solo parzialmente, ciò che la Natura non è ancora riuscita a realizzare nelle masse o nemmeno nel singolo individuo, così da poterlo imprimere nell'etere materiale in cui viviamo.
Qual è dunque questo nuovo tipo a cui la grande Madre sta lavorando? Che cosa nascerà dalle grida e dalle doglie di questa gravidanza prolungata e potente?
Forse un genere superiore di umanità, ma per capire ciò che stiamo dicendo dobbiamo prima comprendere chiaramente che cos'è questa umanità che la grande Madre sta cercando di superare. Il simbolo umano attuale è un essere mentale con un ego mentale che agisce in un rivestimento vitale sempre attraverso la mente, ma sulla materia, nella materia ed attraverso la materia. E' limitato nelle sue opere più elevate dai suoi strumenti inferiori; il fondamento della sua mente è egoistico, legato alle sensazioni e determinato dall'esperienza e dall'ambiente, perciò la sua conoscenza si allarga e si restringe ciclicamente in un intervallo rigido e limitato. Similmente il suo temperamento morale e le sue azioni sono egoistiche, legate alle sensazioni e determinate dall'esperienza e dall'ambiente; è quindi legato sia al peccato che alla virtù e tutti i tentativi di moralizzare radicalmente la razza entro i limiti della sua natura egoistica si sono dimostrati, nonostante cambiamenti in particolari individui, inutili e destinati a fallire irrimediabilmente. L'umanità non è soltanto un genere composito, ma anche confuso, con il corpo ed il vitale che interferiscono con la mente e la mente che è ostacolata ed al tempo stesso ostacola il vitale ed il fisico.

La sua ricerca di conoscenza, basata sul contatto con i sensi, è un brancolare, simile a quello dell'uomo che ha smarrito la strada nella foresta di notte. Entra in contatto con l'ambiente tastando, cozzando ed inciampando in ciò che lo circonda e, seppur dotato della luce incerta della ragione che compensa parzialmente questa incapacità, dato che la ragione deve comunque partire dai sensi che falsificano i dati in maniera consistente, la sua conoscenza razionale non è solo limitata, ma anche zeppa di imprecisioni ed incertezze persino in ciò che ritiene di aver compreso. Mette al sicuro rari fiori di verità in un groviglio spinoso di dubbi ed errori. Anche le sue azioni sono un districarsi a fatica nella foresta, un incedere ottimista e tormentato, costellato di ostacoli, verso grandi fallimenti o successi temporanei e parziali.
Immensamente superiore a tutto ciò che la Natura ha realizzato finora, questo genere è ancora così carico di limiti ed incapacità che se non fosse possibile rompere la sua forma e proseguire, dovremmo dar ragione alle filosofie pessimiste che disperano della Vita e vedono nella Volontà di non vivere l'unica via di fuga per l'umanità, non concependo per quest'ultima nessun'altra forma di salvezza. Ma la Natura è la volontà del Dio di Infinita Saggezza e non sta lavorando per ridurre il mondo all'assurdo. Conosce la propria meta e sa che l'uomo attuale è solo un essere di transizione e, compatibilmente con la sopravvivenza del genere umano, spinge verso ciò che sta oltre, prefigurato nella conoscenza eterna di Dio.
Dalla parzialità dell'ego procede verso una coscienza universale, dalle attuali limitazioni verso un movimento libero nell'infinito, da questa mente che brancola nel crepuscolo verso la visione diretta della cose, visione rischiarata dalla piena luce del sole, da questa lotta senza fine tra vizio e virtù ad un incedere che segue spontaneamente il sentiero indicato da Dio, da questo agire frammentario e costellato di dolore ad un'attività gioiosa e libera, da questa lotta caotica tra le nostre membra ad una coordinazione pura, libera ed armoniosa, da questa mente immersa nella materia ad una vita, un corpo ed una mente ideali ed illuminati; dal simbolo alla realtà; dall'uomo separato da Dio all'uomo in Dio e Dio nell'uomo.

In breve, come la Natura ha desiderato con successo il passaggio dalla materia alla vita, dalla vita alla mente ed all'ego mentale, così ora aspira con successo già decretato ad un elemento che va oltre la mente, il vijnana degli Indù, l'Idea luminosa in se stessa o il Sé di Verità, attualmente nascosto e supercosciente per l'uomo e per il mondo, allo stesso modo in cui la vita è sempre stata nascosta nella materia e la mente nella vita. Ancora non sappiamo In cosa consista questo vijnana , ma per suo tramite la Natura sa che può reggersi fermamente su quel termine supremo che è la realtà di tutti i simboli, nello Spirito in Saccidananda.
Lo scopo della Natura è anche quello dello Yoga. Lo Yoga, come la Natura ai propri vertici, cerca di rompere questo stampo dell'ego, questa forma di corpo e vitale mentalizzati, per conseguire l'azione ideale, la verità ideale e la libertà infinita nel nostro essere spirituale. Per raggiungere un fine così grande si devono usare processi grandiosi e pericolosi. Coloro che si sono lanciati su questa strada o hanno aperto nuovi sentieri verso la meta hanno dovuto affrontare la possibilità, spesso realizzatasi, di perdere la ragione, la vita e la salute o di perdere il proprio essere morale. Non devono essere compatiti o derisi anche se soccombono; piuttosto considerati martiri del progresso dell'umanità, molto più del navigatore sperduto o dello scienziato ucciso dai pericoli della sua ricerca.
Costoro preparano coscientemente la suprema realizzazione possibile, verso la quale il resto dell'umanità procede istintivamente ed inconsciamente. Lo Yoga è il mezzo d'elezione che la Natura riserva per il raggiungimento del proprio fine, dopo che avrà finito di portare almeno una parte dell'umanità ad un livello di temperamento adatto allo sforzo, intellettualmente, moralmente e fisicamente preparato per avere successo. La Natura procede verso la supernatura, lo Yoga si muove verso Dio; l'impulso del mondo e l'aspirazione umana sono un unico movimento e la medesima avventura.


LA NATURA

Se tale è l'opera da compiere, non il perfezionamento della forma umana attuale ma la sua rottura per giungere ad un genere superiore, quali sono dunque il potere ed il processo che la realizzano? Cos'è questa Natura di cui parliamo tanto?
Abitualmente ne parliamo come di qualcosa di potente e consapevole che vive ed è capace di progetti; le attribuiamo un fine, unitamente alla saggezza necessaria per perseguirlo ed al potere di realizzarlo. Il nostro linguaggio è veramente giustificato dalla realtà che osserviamo nell'universo o non è dovuto soltanto della nostra inveterata abitudine di attribuire ad ogni cosa caratteristiche umane e di considerare intelligenti processi che non lo sono, processi che si verificano solo perché ciò è nella loro natura e quindi devono avvenire e non perché esista un qualche atto di volontà, e creano questo meraviglioso universo ordinato per qualche necessità cieca e bruta, di natura ed origine inconcepibile per gli esseri intelligenti? Se così è questa forza cieca e bruta ha prodotto qualcosa di superiore a se stessa, qualcosa che non è stato concepito nel suo grembo e che non le appartiene in alcun modo.

Non possiamo comprendere che cosa siano l'essere e la Natura, non perché ancora troppo piccoli e limitati ma perché ci troviamo troppo al di sopra dell'essere e della Natura. La nostra intelligenza è una macchiolina luminosa immersa in un'oscurità dalla quale non può essere stata generata, dato che in quell'oscurità nulla viene considerato la causa delle proprie creazioni. A meno che la mente non fosse insita nella materia bruta, ed in tal caso si può parlare di materia bruta solo in apparenza, sarebbe stato impossibile per la materia dare origine alla mente. Tutto ciò ci porta a trarre conclusioni assurde e quindi non può essere vero. Dobbiamo quindi concludere che se la materia è bruta lo è anche la mente.

L'intelligenza è un'illusione; non esiste altro che uno scontrarsi di impulsi materiali che creano vibrazioni e reazioni nella materia, reazioni che si traducono in fenomeni apparentemente intelligenti. La conoscenza è soltanto una relazione tra materia e materia e non è sostanzialmente diversa, né in qualche modo superiore alle interazioni ed agli urti tra atomi o allo scontro tra due tori al pascolo. Gli agenti materiali coinvolti ed i fenomeni prodotti sono diversi e perciò non riteniamo il contraccolpo che ognuno dei tori riceve durante lo scontro corna a corna un atto di conoscenza o dettato dall'intelligenza, ma ciò che si verifica è intrinsecamente la medesima cosa. L'intelligenza è essa stessa inerte e meccanica, mero risultato fisiologico di un movimento fisiologico e non ha nulla di psichico o mentale nel senso da sempre attribuito alle parole anima e mente. Tale è la visione del moderno razionalismo scientifico, espressa a dire il vero con parole diverse da quelle tipiche dello scienziato, parole che ne rendono evidenti le conseguenze e le implicazioni logiche, ma in ogni caso la moderna spiegazione dell'esistenza dell'universo. Nell'ambito di tale visione la natura di una cosa è costituita dalla sua composizione, dalle proprietà tipiche della composizione e dalla leggi di funzionamento imposte da tali proprietà; ad esempio il ferro è composto da certe sostanze elementari, a causa della sua composizione chimica possiede determinate proprietà, come ad esempio la durezza, e si comporterà in un dato modo in certe circostanze proprio in virtù delle sue proprietà. Trasponendo questo ragionamento su vasta scala vediamo l'universo come un insieme di forze brute che agiscono in determinate sostanze materiali, forze dotate in se stesse e nelle sostanze su cui agiscono di proprietà primarie e secondarie, generali e particolari e la cui azione è il risultato di tendenze invariabili e processi determinati che chiamiamo, con un'espressione chiaramente antropomorfa, "Leggi di Natura".

Ad un'analisi attenta la Natura appare come il gioco di due entità: Forza e Materia; ma entrambe, se la visione unitaria dell'universo è corretta, saranno riconosciute come un'unica entità, o solamente Materia o solamente Forza.
Anche accettando questa visione moderna dell'universo, visione che scomparirà certamente nell'arco di un secolo, inglobata in una sintesi più ampia, resta ancora qualcosa da aggiungere circa la presenza o l'assenza di intelligenza nella Natura. In che cosa consiste dopotutto l'intelligenza, quali sono le proprietà e le leggi inerenti alla sua composizione? Che cos'è dunque l'intelligenza umana, il solo tipo di intelligenza che siamo in grado di studiare intimamente e quindi di comprendere? E' contraddistinta da tre qualità o processi che le sono propri: il potere di cambiare, di adattarsi per raggiungere uno scopo, la capacità di distinguere i diversi stimoli che colpiscono i suoi sensi ed il potere di comprendere coscientemente a livello mentale. In breve, l'intelligenza umana è teleologica, capace di discriminazione e mentalmente cosciente. Riguardo a tutto ciò che non è umano, animali, alberi, metalli e forze, non possiamo asserire nulla dall'interno, ma soltanto inferire la presenza o l'assenza di elementi di consapevolezza dall'evidenza prodotta dall'osservazione esterna. Non possiamo dire con certezza, non potendo sperimentare l'essere albero, che l'albero non sia in realtà una mente imprigionata nella materia, incapace di esprimersi con i mezzi a sua disposizione; non possiamo dire che non provi emozioni di piacere o di dolore; ma da quanto ci appare dall'esterno traiamo la conclusione contraria. La nostra conclusione negativa è probabile, non certa; potrebbe essere negata a sua volta con l'avanzare della conoscenza. Comunque, anche attenendoci strettamente all'evidenza, quali sono i fattori che si evidenziano in questo paragone tra ciò che in Natura riteniamo intelligente e la Natura che consideriamo priva di intelligenza?

In primo luogo la Natura possiede una capacità teleologica ed una conoscenza dei processi che ne derivano decisamente superiore a quella umana; è in grado di porsi un fine, di combinare, di adattare, modificare ed unificare strumenti e processi per raggiungerlo; possiede la capacità di lottare e di superare le difficoltà, di scovare mezzi per aggirare gli ostacoli quando non è in grado di superarli e questo è proprio uno degli aspetti ritenuti più nobili e divini dell'intelligenza umana, ma la manifestazione di questa facoltà nell'essere umano è soltanto una specializzazione della sua azione universale nella Natura. Questa facoltà della Natura si manifesta parzialmente nell'uomo attraverso la ragione, negli animali attraverso un raziocinio scarso e rudimentale ed in gran parte attraverso istinto, memoria, impulso e sensazione, nella piante ed in altri oggetti tramite un raziocinio scarsissimo e soprattutto attraverso impulso o azione meccanica, cosiddetta involontaria. Ma in ogni cosa è presente un fine e la tensione verso di esso, ed in ogni cosa i mezzi usati sono gli stessi. Anche nell'uomo la Natura si serve della ragione solo per identificare gli scopi ed i processi, continuando ad utilizzare ampiamente mezzi tipicamente animali, memoria, impulso, sensazione, istinto; forse si tratta di istinti meno decisivi e più generici di quello tipicamente animale, ma sicuramente indirizzato ad un fine ed a scopi ben precisi; per altri aspetti utilizza gli stessi impulsi meccanici e lo stesso tipo di azione involontaria tipici di ciò che erroneamente definiamo esistenza inanimata. Asteniamoci dal pensare che la prodigalità della Natura, il suo spreco di materiali, i frequenti fallimenti, le apparenti bizzarrie o i suoi frequenti sgambetti siano la dimostrazione dell'assenza in Lei di intenzionalità e di intelligenza. L'uomo con la sua ragione è colpevole delle stesse negligenze e deviazioni, ma né l'Uomo, né la Natura sono per questo privi di intenzionalità e di intelligenza. E' la Natura che costringe l'Uomo stesso a superare la propria tendenza fortemente utilitaristica, perché conosce molto di più dell'economista o del filosofo utilitarista. Si tratta di un'intelligenza universale che deve badare ad ogni effetto universale e particolare, prendendosi cura dell'intero senza trascurare alcun dettaglio; deve curarsi di ogni dettaglio a livello di gruppo, di genere e dell'insieme di tutte le specie esistenti al mondo.


MAYA

Il mondo esiste come simbolo di Brahman ma la mente crea ed accetta falsi significati e scambia il simbolo per la realtà. Tale è l'ignoranza, l'illusione cosmica, l'errore della mente e dei sensi da cui il Mago stesso, il Maestro dell'Illusione, ci chiede di liberarci. Tale errata valutazione del mondo è la Maya della Gita che può essere trascesa senza abbandonare la vita attiva o l'esistenza nel mondo. Anche l'intera esistenza universale è in questo senso un'illusione di Maya, poiché non si tratta della realtà ultima immutabile e trascendente, ma soltanto di una realtà simbolica, di una rappresentazione della realtà del Brahman in termini di coscienza cosmica.
Tutti questi oggetti che vediamo, o di cui siamo mentalmente consapevoli come di una realtà oggettivamente esistente, sono solo una forma di coscienza.
Essi sono la 'Cosa-in-sé' dapprima manifestata in termini ed idee generate da un movimento o da un processo ritmico della coscienza e poi oggettivata nella coscienza stessa, e non realmente esterna ad essa. Di conseguenza tutte le cose hanno una realtà convenzionale fissata, ma non una realtà essenziale durevole; sono solo simboli e non la realtà che rappresentano, sono soltanto strumenti di conoscenza e non la realtà da conoscere.
Partendo da un altro punto di vista, possiamo dire che l'Esistenza, o Brahman, ha due stati fondamentali di coscienza: la coscienza cosmica e la coscienza trascendente. Per la coscienza cosmica il mondo è reale in quanto termine primario diretto che esprime l'inesprimibile; per la coscienza trascendente il mondo è soltanto un termine secondario ed indiretto per esprimere ciò che non può essere espresso.

Dimorando nella coscienza cosmica vedo il mondo come il mio Sé manifestato; nella coscienza trascendente non vedo il mondo come la manifestazione del mio Sé, ma come una manifestazione di qualcosa che scelgo di porre in essere nella mia Autocoscienza. Si tratta di una rappresentazione convenzionale attraverso cui mi esprimo, ma che non mi vincola; potrei dissolverla ed esprimermi in altro modo. E' simile ad un vocabolo di una determinata lingua che vuole esprimere oralmente o per iscritto un concetto che potrebbe essere espresso altrettanto bene da un altro vocabolo appartenente ad un'altra lingua. Dico tiger (tigre) in inglese; potrei benissimo esprimermi in sanscrito ed usare il termine sardula; ciò non comporta cambiamenti né per la tigre, né per me, ma solo per il mio gioco con i simboli del discorso e del pensiero. Tutto ciò vale anche per Brahman e l'universo, per la 'Cosa-in-sé' ed i suoi simboli con i loro significati convenzionali, alcuni dei quali sono relativi alla coscienza generale ed altri alla coscienza individuale dell'essere-simbolo.
Ad esempio, Materia, Mente e Vita sono simboli generali con un significato generale fissato per Dio nella Sua coscienza cosmica, ma assumono significati individuali diversi, hanno un diverso impatto o, per così dire, si manifestano diversamente in me, in una formica, in una divinità o in un angelo. Tale percezione del valore meramente convenzionale della forma e del nome nell'universo viene espressa in termini metafisici con la formula in base alla quale il mondo è una creazione di Para Maya, l'Illusione Cosmica suprema.

Quanto detto finora non implica che il mondo sia irreale o non abbia un'esistenza degna di tale nome. Nessuna delle antiche scritture dell'Induismo sostiene l'irrealtà del mondo, né tale irrealtà è la logica conseguenza della grande verità, così remota e complessa da non poter essere adeguatamente espressa in parole. Dobbiamo ricordare che tutti questi termini, Maya, illusione, sogno, irrealtà, realtà relativa, significato convenzionale, sono solo forme verbali e non devono essere prese troppo alla lettera. Sono simili al pennello che il pittore lancia contro il suo quadro nella disperazione che deriva dal non poter raggiungere gli effetti che vorrebbe creare, si tratta di pietre scagliate in direzione della verità e non della verità stessa. Ci renderemo chiaramente conto di questo quando guarderemo il Cosmo non dal punto di vista di Maya ma da quello di Lila. Alcune grandi menti metafisiche, non capendo che le parole, come qualunque altra cosa, hanno solo significati convenzionali e sono simboli di una verità in sé stessa inesprimibile, hanno tratto dalle idee suggerite da queste parole conclusioni concrete e rigorose. In tal modo hanno ridotto il mondo ad un sogno miserabile e menzognero, reso ancora più odioso e privo di senso da un certo elemento di realtà alla quale è impossibile sfuggire, realtà che la parte più illuminata delle loro menti non può evitare di intuire e di ammettere almeno parzialmente. La verità delle premesse ha reso le loro dottrine un potente strumento di liberazione per anime grandi ed austere; l'errore presente nelle loro conclusioni ha afflitto l'umanità con il vangelo inutile e sterile della vanità non solo degli aspetti falsi ed insinceri dell'esistenza terrena, ma della totalità dell'esistenza terrena.
Per le forme più estreme di questa visione, sia la natura che la supernatura, l'uomo e Dio, sono menzogne della coscienza, miti di un sogno cosmico, indegni di essere accettati. Il miglioramento è una vana chimera; Dio una lusinga; l'unico fine degno di essere perseguito è il perdersi in un'esistenza impersonale e trascendente.

Gli adoratori di Dio, i ricercatori della perfezione umana, coloro che innalzano l'umanità dalla natura verso la supernatura, incontrano due grandi ostacoli sul proprio cammino: da una parte la tendenza ordinaria della natura a rimanere attaccata alle conquiste del passato, rappresentate dall'ebete naturalismo dell'uomo pratico e mondano, dall'altra la tendenza esagerata a voler oltrepassare il simbolo, rappresentata non tanto dall'asceta che si ritira dal mondo, che dopo tutto, può farlo a pieno diritto, ma piuttosto dal pessimismo deprimente degli ignoranti che non vogliono fuggire il mondo, né, se tentassero di farlo, potrebbero innalzarsi fino alle vette dell'ascetismo, ma sono comunque imbevuti a livello intellettuale e dominati nel temperamento da queste dottrine elevate e catastrofiche.
Un'alba migliore sorgerà per l'India quando la nebbia si diraderà e la mentalità indiana, pur senza rinunciare alla verità di Maya, riuscirà ad intuire che si tratta solo di una spiegazione parziale dell'esistenza. L'esistenza terrena non è indispensabile all'essere o alla gioia di Dio, ma non per questo è vanità; né un'esistenza terrena liberata, libera in Dio, può essere considerata vana o falsa.

La dottrina ordinaria di Maya non è una verità semplice, ma deriva da tre diversi livelli di percezione spirituale. La prima e più elevata è la percezione che il mondo è un insieme di simboli-coscienza dotati di un valore convenzionale; gli esseri esistono solo nell'autocoscienza di Brahaman e la personalità ed il senso dell'ego sono solo simboli e termini dell'esistenza-simbolo universale. Lo abbiamo già detto e vedremo che questa percezione non ci costringe a considerare il mondo come un mito o una convenzione priva di valore. Lo stesso Mayavadin non sarebbe giunto a questa conclusione estrema se non avesse incluso nella purezza della sua esperienza spirituale più elevata gli altri due livelli di percezione. Il secondo di tali livelli, il più basso, è la percezione di Apara Maya o Maya inferiore, di cui ho parlato all'inizio di questo saggio, la percezione del sistema di falsi valori imposti dalle mente e dai sensi ai fatti-simbolo dell'universo. Ad un certo livello di cultura mentale è facile rendersi conto del fatto che i sensi sono guide ingannevoli; tutte le opinioni ed i giudizi mentali sono incerti, parziali e minati dal dubbio; il mondo non è una realtà nel modo in cui la mente lo considera reale, nel modo in cui i sensi dominati e preoccupati solo del valore pratico delle cose, del loro vyavaharika arta, lo ritengono reale. Raggiungendo questo stato la mente arriva a percepire che tutti i valori che attribuisce al mondo sono falsi, forse perché non esiste alcunché di vero in sé o c'è solo un vero valore che però non è concepibile dalla mente; da questa idea è semplice per l'impazienza della nostra natura umana giungere affrettatamente alla conclusione che è veramente così e che l'intera esistenza, o per lo meno l'intera esistenza del mondo è illusoria, una sensazione senza alcun fondamento reale, un gioco di zeri. Da ciò nascono il Buddismo, le filosofie agnostiche basate sui sensi e il Mayavada.

Inoltre, è infine facile ad un certo stadio di sviluppo morale percepire che i valori morali imposti dalle emozioni, dalle passioni e dalle aspirazioni alle azioni ed alle esperienze sono falsi valori; è facile sentire che l'oggetto dei nostri peccati è qualcosa per cui non vale la pena di peccare e che i nostri principi ed i nostri valori non hanno impatto e non contribuiscono a scuotere le condizioni effettive del mondo, ma sono solo, essi stessi, meri valori convenzionali che sembrano non influenzare la grande marcia della Natura. Da tali premesse è naturale e corretto giungere a vairagya, il disgusto per una vita fatta di false percezioni, e molto facile affrettarsi, nuovamente per l'impazienza tipica della nostra natura umana imperfetta, al compimento di un vairagya totale: non soltanto insoddisfazione verso una vita morale falsa, ma avversione e disgusto per qualunque tipo di vita e l'affermazione della vanità dell'esistenza terrena.
Abbiamo un vairagya mentale, un vairagya morale ed a queste forti motivazioni si aggiunge il genere più potente di tutti, il vairagya spirituale. Ad un certo stadio di educazione spirituale percepiamo il mondo come un sistema di meri valori-coscienza in Parabrahman, o meglio, sperimentiamo, - e questo fu probabilmente l'aspetto decisivo per le menti dei grandi ricercatori spirituali come Shankara -, il puro e splendente Saccidananda impersonale, che sta oltre l'intera esistenza cosmica, apparentemente lontano e completamente distaccato da essa. Osservando intellettualmente questa grande esperienza la conclusione naturale e quasi inevitabile è che questo Uno Puro e Splendente considera l'universo un miraggio, un'irrealtà, un sogno. Ma questi sono solo i termini, i valori convenzionali delle parole e delle idee con cui la mente traduce l'esperienza della trascendenza libera da ogni impatto. La mente dà questa interpretazione perché questi sono i termini che è abituata ad applicare a tutto ciò che la supera, che è lontano da lei e con cui non riesce a stabilire relazioni tangibili.

La mente avvinta dalla materia dapprima accetta solamente una realtà oggettiva, chiamando tutto ciò che non può essere oggettivato o non può esprimersi oggettivamente, menzogna, miraggio, sogno, irrealtà o, se disposta favorevolmente, ideale. Quando in seguito corregge il proprio modo di vedere, la prima cosa che fa è rovesciare i propri valori, giungendo in una regione, ad un livello, in cui la vita nel mondo materiale appare remota, priva di spiritualità, o incapace di una realizzazione spirituale; allora immediatamente applica i vecchi termini, sogno, miraggio, menzogna, irrealtà o semplicemente idea priva di verità e trasferisce dalla materia allo spirito il suo modo esclusivo ed intollerante di utilizzare le parole-simbolo della realtà. Aggiungiamo a questa traduzione mentale dell'esperienza della trascendenza libera da tutto le conclusioni intellettuali e la repulsione emotiva tipiche del vairagya mentale e morale, che alterano e sfigurano l'idea del mondo come un sistema di valori-coscienza, ed otteniamo Mayavada.