Dodici anni con Sri Aurobindo di Nirodbaran - Cap. 11 IL DIO SE NE VA
E finito, il terribile misterioso sacrificio,
Offerto dal corpo martirizzato di Dio per il mondo.1
Savitri, Libro VI, Canto II
1 It is finished, the dread mysterious sacrifice,
Offered by God’s Martyred body for the world
Nel capitolo sulle ‘Conversazioni’ ho indicato che verso la fine degli Anni Quaranta incominciammo a notare un cambiamento in Sri Aurobindo. Stava diventando sempre più silenzioso e distaccato, come se fosse profondamente preoccupato per qualche problema e le conversazioni, sempre meno frequenti, cessarono quasi completamente. Erano tanti i giorni in cui non scambiavamo quasi una parola. Stavamo assistendo un dio che all’improvviso era diventato conscio della sua vera identità e che ora sarebbe fuggito dalla propria schiavitù umana.
Il contrasto fra l’abbondanza degli anni passati e la carestia di quelli attuali era così acuto che le nostre menti erano affollate da ogni genere di interrogativi riguardanti la ragione di questo silenzio di infausto auspicio. Si trattava di un problema terrestre o sovraterrestre? Poteva esserci stata da parte nostra una possibile mancanza al nostro dovere? Era forse dovuto ai sintomi sempre più evidenti della malattia che si era insinuata nel suo corpo?
Per quanto riguardava gli affari terrestri, ai quali si era dedicato incessantemente, la guerra si era conclusa felicemente e l’India aveva ottenuto la sua libertà; il piano ultrafisico era al di là della nostra comprensione, perciò potevamo pensare solo al mondo fisico. Sarebbe però stato un terreno davvero molto fragile su cui costruire le nostre congetture poiché Sri Aurobindo era certamente l’ultima persona ad essere turbata da disturbi puramente fisici, per quanto seri potessero essere. Inoltre aveva già curato quella stessa malattia quando si era manifestata la prima volta e sicuramente poteva farlo di nuovo, se questo era il motivo reale! Che cosa aveva allora? Oppure la malattia era più seria?
Torniamo dunque all’origine del suo male e seguiamo la serie di eventi che si conclusero con la sua dipartita dall’involucro fisico e ne furono la ragione apparente e cerchiamo di scoprire la verità dietro l’apparenza.
Un giorno notammo che l’urinare di Sri Aurobindo era diventato più frequente ed egli volle conoscerne la ragione. Venne esaminata l’urina e fu trovata una quantità eccessiva di zucchero con una traccia di albumina. Comunicai il risultato alla Madre in presenza di Sri Aurobindo e dissi: “Assomiglia al diabete.” La Madre ribattè bruscamente: “Non è diabete.”
“Che cos’è allora?” mi chiesi.
La Madre comunque ridusse considerevolmente la quantità di cibo contenente amido, particolarmente il riso e i dolci per i quali Sri Aurobindo sembrava avesse una certa predilezione. A causa della sua età e di un’attività quasi totalmente sedentaria, l’eccesso era sicuramente dannoso; era inoltre lontano dal passeggiare sei o sette ore al giorno come in passato!
Mi fu chiesto di esaminare l’urina ogni settimana e di informarlo del risultato. Nel giro di poche settimane questa divenne priva di zucchero, ma la frequenza non riprese del tutto la normalità e anche Sri Aurobindo notò la cosa. Il fatto mi fece sospettare una lieve ipertrofia prostatica.
Quando il dottor P. Sanyal, F.R.C.S. [F.R.C.S.: Fellow of the Royal College of Surgeons - Membro del Reale Collegio dei Chirurghi] in Inghilterra, visitò l’Ashram lo consultai e su mia richiesta Sri Aurobindo lo ricevette. Dopo un accurato esame confermò il mio sospetto ma aggiunse che il male era appena all’inizio. Espose a Sri Aurobindo la natura, il decorso e le possibili complicazioni della malattia e gli parlò dell’operazione che si praticava come unica cura radicale. Dopo pochi mesi, alla seconda visita di Sanyal, Sri Aurobindo gli disse con tono sicuro: “Non mi disturba più. L’ho curata.” La nostra fede nell’azione della Forza fu fortificata e non provammo più alcuna ansia.
Non si poteva più dire allora che il cambiamento d’umore di cui ho parlato avesse qualche nesso con la malattia, infatti non solo con noi, ma anche con la Madre stessa egli era diventato molto reticente. Comunque, per quanto riguarda il suo lavoro non si verificò nessun rallentamento. Anche quando avevamo poco tempo a nostra disposizione ed io ero riluttante a portare i numerosi plichi contenenti il manoscritto di Savitri per appena mezz’ora, diceva: “Lavoreremo un po’.” Questo provocò nei miei colleghi, in particolare in Champaklal, un’allegria indiavolata poiché essi amavano il lavoro mentre io no, almeno non allora; quasi fino al suo trapasso la sua diversificata opera letteraria e Savitri furono portati avanti velocemente nonostante il disagio causato dall’aumento graduale dei sintomi. (...)
(...) La revisione di Savitri andava avanti a grandi passi con impegno regolare e infaticabile, si completava Libro dopo Libro e venivano inviati i fascicoli per la pubblicazione. In giorni successivi furono dettati 400-500 versi de II Libro del Giorno Eterno poiché non potevamo dedicare più di un’ora al giorno all’opera monumentale e anche questo poco tempo spesso doveva essere abbreviato per soddisfare altre esigenze. Stavamo nondimeno progredendo abbastanza costantemente e mi meravigliavo per il fluire facile e spontaneo di un verso dopo l’altro, di una bellezza straordinaria.
Una volta mi ero lamentato con lui, per corrispondenza, e gli avevo chiesto perché, pur avendo tutti i piani d’ispirazione al suo comando, egli dovesse ancora lavorare come noi mortali al suo Savitri. Perché mai l’ispirazione non doveva sbottare come una ‘bottiglia di champagne’? Ora invece ero testimone di quel miracolo e immaginai che doveva essere stato anche il modo in cui Valmiki aveva composto il suo Ramayana. Di questo passo, pensai, non ci vorrà molto tempo per finire Savitri e sulle labbra di tutti era la domanda ardente: “Fin dove sei arrivato con Savitri'?’'
Ma Savitri, come ho detto, non era la sua unica preoccupazione: gli venivano affidati tanti altri compiti occasionali e non poteva dire di no, per pura cortesia, credo, o per la magnanimità della sua natura divina.
Circa alla metà del suo ultimo anno sulla terra i sintomi di ipertrofia prostatica riapparvero e incominciarono ad aumentare lentamente. Era come una piccolissima nuvola scura all’orizzonte e immaginai che sarebbe stata dissipata dall’azione della sua Forza, poiché era stato messo al corrente delle serie conseguenze della malattia.
Di pari passo con questo progredire osservammo un cambiamento notevole del suo umore. I nostri discorsi, l’unica occasione in cui il Divino diventava umano e giocava con noi, diminuirono; non era più espansivo, l’umorismo e l’arguzia, le facezie, la gaiezza e il divertimento, tutto si era ritirato ed eravamo al cospetto di una deità da tempio: impassibile, distaccata e indifferente, udāsīna. Per quanto tentassimo di farlo uscire dal suo impenetrabile santuario di silenzio riuscivamo a ottenere solo un monosillabico ‘sì’ o ‘no’ o al massimo un pallido sorriso. Naturalmente un simile radicale cambiamento ci rese inquieti e cominciammo a speculare sulle probabili cause.
Un giorno, prendendo il coraggio a due mani, il dottor Satyendra gli chiese: “Perché siete così serio, Signore?” Sri Aurobindo rispose gravemente: “Il momento è molto serio.” La risposta ci lasciò ancor più disorientati ma non potemmo indagare oltre. (...)
(...) Il lavoro su Savitri procedeva come al solito, ad un ritmo sempre più lento, specie quando venimmo a un riscontro faticoso con i due grossi Canti de II Libro del Fato. Facemmo revisioni su revisioni, con aggiunte di versi e anche la punteggiatura cambiò varie volte! Sembrava una vera ‘fatica di Dio’ contro la resistenza di una roccia.
In quel periodo la Tipografia inoltrò una richiesta per un suo nuovo libro; si diede preferenza a La Poesia Futura e scrisse anche qualche brano destinato ad essere inserito nel testo. Poiché voleva scrivere qualcosa sulla Poesia Moderna ed era necessario leggere opere di poeti moderni, furono inviati ordini a Madras per ricevere testi sull’argomento e tutti i pochi libri disponibili nella nostra piccola biblioteca vennero requisiti. Mentre li leggevo diceva: “Segna quel brano”, o “Questi versi hanno un’immagine straordinaria” (credo che i versi ai quali si riferiva fossero della Magnetic Mountain di C. Day Lewis). Lui stesso mi lesse ad alta voce un poema di Eliot, non ricordo esattamente in quale momento, e osservò: “Questa è bella poesia.” Procedevamo in questo modo.
Poiché ora dovevamo attendere l’arrivo dei libri, disse: “Torniamo a Savitri". La sua intera attenzione sembrava concentrata su Savitri, ma di nuovo il lavoro dovette essere sospeso per la pressione di varie esigenze estranee che aumentarono a tal punto che fu costretto ad osservare: “Non trovo tempo per il mio vero lavoro.”
Quando la via fu abbastanza sgombra, mentre mi chiedevo quale sarebbe stata la sua prossima scelta, disse con voce distante: “Prendi Savitri. Voglio finirlo presto.” Accadde circa due mesi prima della sua dipartita. L’ultima parte della frase mi sorprese benché fosse pronunciata a voce bassa. Mi domandai per un momento se avessi capito giusto; lo guardai, il mio sguardo sconcertato incontrò un volto impassibile. In dodici anni era la prima volta che lo udivo calcolare il fattore tempo. Un Avatar di equilibrio, pazienza ed equanimità, questa era l’immagine che splendeva davanti ai nostri occhi ogniqualvolta avevamo pensato o parlato di lui; di qui la mia meraviglia.
Prendemmo gli stessi due Canti che si erano dimostrati così difficili. Il lavoro progredì lentamente: parole, idee, immagini, sembravano ripetersi e i versi stessi fluire con riluttanza, la punteggiatura dovette essere cambiata perfino quattro o cinque volte.
Quando ebbe terminato l’ultima revisione e i Canti furono completati, dissi: “Ora è finito.” Un sorriso impersonale di soddisfazione mi salutò ed egli commentò: “Ah, è finito?” Come ricordo bene quell’increspatura di sorriso che tutti noi supplicavamo da tanto tempo!
“Che cosa rimane adesso?”, poi mi domandò.
“Il Libro della Morte e l’Epilogo."
“Oh, quelli? Li vedremo più tardi.”
Quel ‘più tardi’ non venne mai, non era destinato a venire. Avendo preso la decisione di lasciare il corpo egli doveva essere in attesa del momento giusto per andarsene e per ragioni solo a lui note lasciò quei due ultimi Libri quasi com’erano.
Così, circa due settimane prima del Darshan del 24 Novembre, fu posto su Savitri il sigillo di ‘Stesura incompleta’ e pose fine anche alle altre opere letterarie.
Significativamente II Libro del Fato fu l’ultimo a ricevere la revisione. Quelli che avevo ritenuto difetti minori o ripetizioni superflue che pensavo sarebbero stati eliminati apparvero dopo il suo trapasso intenzionali e profetici:
Un giorno può venire quando essa dovrà trovarsi senza aiuto
Ad un margine pericoloso del destino suo e del mondo,
In quel silenzio tremendo perduta e sola
Non implorare il cielo, poiché lei sola può salvare.
Essa soltanto può salvare sé stessa e salvare il mondo.2
Savitri, II Libro del Fato, Canto II
2 A day may come when she must stand unhelped
On a dangerous brink of the world’s doom and hers,
In that tremendous silence lone and lost
Cry not to heaven, for she alone can save.
She only can save herself and save the world.
Sappiamo come queste parole si sono mostrate pericolosamente vere nel caso della Madre e anche del mondo. (...)
(...) Il Darshan ormai era vicino. Era arrivata la lettera di un astrologo che diceva che Sri Aurobindo sarebbe stato colpito da una grave malattia che avrebbe forse potuto minacciare la sua vita. Noi deridemmo semplicemente l’idea, ma Sri Aurobindo non la respinse così leggermente e chiese: “Domandate esattamente che cosa ha scritto. Sento che ha afferrato qualche verità.” Qualche tempo prima anche al dottor Manilal era stato detto da un astrologo che Sri Aurobindo avrebbe lasciato il corpo e che se voleva vedere il suo Guru doveva correre a Pondicherry; quando riportò la predizione a Sri Aurobindo questi sorrise.
Ci furono in questo periodo molte predizioni dello stesso genere; Surendra Mohan Ghose ne ha raccontata una simile, pubblicata in Mother India, che ho già riportato abbastanza a lungo nel capitolo precedente. Tuttavia fui non poco sorpreso nel constatare che Sri Aurobindo dava credito a tali previsioni apparentemente fantasiose. La sua opinione sull’astrologia era che le predizioni erano spesso incerte, specialmente quelle riguardanti gli yoghi, poiché questi possono cambiare il proprio destino e quello altrui.
Le predizioni su Sri Aurobindo di Narayan Jyotishi, un famoso astrologo di Calcutta, si erano tutte avverate eccetto quella a proposito di una sua grave malattia all’età di sessantatre anni. Ma anche questa, fu detto, sarebbe stata superata dalla sua forza yoghica e sarebbe vissuto sino a una matura vecchiaia. Sri Aurobindo scrive in Savitri:
Natura e Fato costringono la scelta della sua libera volontà,
Ma spiriti più grandi possono ribaltare questo equilibrio
E fare dell’anima l’artista del suo fato.3
Savitri, Libro VII, Canto I
3 Nature and Fate compel his free-will’s choice.
But greater spirits this balance can reverse
And make the soul the artist of its fate.
Si constatò dopo accurate ricerche che l’ultima predizione era stata mal riportata. Essa non aveva un significato così terribile, tuttavia quel nefasto significato si rivelò purtroppo vero.
Il Darshan era cominciato. Si era radunata una vasta folla; senza sapere che sarebbe stato l’ultimo Darshan a qualcuno sembrò di essere stato attirato da una forza sconosciuta e si sentì particolarmente benedetto, mentre altri che lo persero se ne rammaricarono per tutta la vita. Si discusse ad un certo punto la possibilità di rimandare il Darshan perché avrebbe potuto causare al Maestro uno sforzo ed un esaurimento considerevoli provocando un ulteriore aggravamento della malattia, ma la proposta fu respinta per compassione verso i devoti.
Il Darshan fu permesso a tutti, anche a persone molto malate. Tutto andò bene, l’atmosfera era carica di un silenzio solenne. La Madre e Sri Aurobindo erano amore e compassione incarnati: emanavano da loro come dal Sole e dalla Luna luce, gioia, pace, dolcezza e forza.
Dopo circa due ore si avvertì nella folla un movimento inquieto e una tensione nervosa, era circolata la voce che il Maestro avrebbe voluto finire il Darshan il più presto possibile. La lunga coda avanzò con passi veloci e tutti ricevettero da lui l’ultimo memorabile sguardo di benedizione.
Ritornò nella sua stanza alquanto stanco, erano circa le cinque di sera. Non aveva mangiato quasi nulla per tutto il giorno. La prima cosa che disse fu: “Ho molta fame.” Non avevamo mai sentito prima di allora una richiesta così francamente personale da lui. Il pasto fu velocemente servito dalla Madre e consumato in grave silenzio. (...)
(...) I sintomi diventarono più seri e una parziale ostruzione del flusso dell’urina ci fece pensare alla possibilità di un intervento meccanico. Quando l’ostruzione divenne totale e pose seri problemi al dottor Sen, a noi non rimase altra alternativa che usare un catetere, benché Sri Aurobindo non fosse per niente favorevole. Ne seguì un sollievo immediato e ci sentimmo sollevati e contenti. Poi fu mandato un telegramma al dottor Sanyal con la richiesta di venire subito; era stato preavvertito di tenersi pronto per una tale chiamata d’emergenza. La nostra gioia fu sfortunatamente di poca durata poiché sulla scia del nostro intervento si insinuò l’ombra della febbre, una complicazione non insolita ma che ci diede tuttavia un brivido freddo. (...)
(...) Vennero l’1 e il 2 Dicembre, l’anniversario della Scuola, e l’intero Ashram era affaccendato e attivo. Anche la Madre non aveva sosta. Nessuno sospettava che una tragedia profonda stava avendo luogo nelle camere appartate di Sri Aurobindo. La sua malattia era stata celata come un segreto.
Il I Dicembre si notò qualche miglioramento: la temperatura era normale, il suo umore era più allegro e scherzò anche con Sanyal. Quando il dottore suggerì che sarebbe stato consigliabile un esame accurato del sangue, Sri Aurobindo sorrise e ribattè: “Voi dottori potete pensare solo in termini di malattie e medicine, ma c’è sempre una conoscenza molto più efficace, al di là e al di sopra di tutto questo. Non ho bisogno di niente.” Fummo molto felici per la risposta, ma perdemmo il suo significato ambiguo e la considerammo un’assicurazione consolante.
La sera successiva la temperatura salì. Era stata una giornata pesante per la Madre a causa dell’annuale manifestazione di educazione fisica alla Palestra scoperta cui avevano preso parte più di duecento persone. La cerimonia era andata bene; quando Sri Aurobindo ne fu informato osservò con un sorriso contento: “Ah, è finita!” Appena le attività terminarono la Madre venne nella stanza di Sri Aurobindo, posò ai suoi piedi la ghirlanda che le ornava il collo e rimase lì, in piedi, tranquilla, ma il suo viso aveva un’espressione molto grave; lui era immerso in sé stesso con gli occhi chiusi. (...)
(...) Il 3 Dicembre la temperatura scese di nuovo a un livello normale. Pensando che Sri Aurobindo stesse migliorando, Sanyal propose di partire quella sera stessa. La Madre lo ascoltò con atteggiamento grave ma non gli diede nessuna risposta, Sanyal colse il suo suggerimento e aggiunse subito: “Preferirei restare ancora qualche giorno, Madre.” Un sorriso le illuminò il volto.
Nel pomeriggio il quadro cambiò rapidamente. La temperatura salì e si manifestò per la prima volta una difficoltà respiratoria. Sri Aurobindo rifiutava di prendere qualsiasi liquido, ma persuaso dalla Madre sorseggiò un po’ di succo di frutta e subito si immerse nella trance. Restò in quello stato quasi tutto il giorno e la Madre a causa di questo regresso non si recò alla Palestra scoperta.
Allora, per la prima volta, la Madre disse: “Sta perdendo interesse per sé stesso”, e alla nostra richiesta di un energico intervento rispose: “Tutto dipende da lui.” Quella lunga notte passò tra difficoltà alternate a momenti in cui era immerso in sé. Si svegliava comunque solo quando volevamo dargli da bere e a volte espresse perfino delle preferenze.
Il giorno dopo emerse dalle profondità e volle mettersi seduto. Nonostante le nostre obiezioni fu molto insistente e notammo dopo un po’ che tutti i gravi sintomi respiratori erano svaniti magicamente e sembrava normale. Eravamo felici per questo improvviso cambiamento e pensammo che finalmente la nostra preghiera era stata ascoltata.
Poi il Maestro si spostò sulla sedia. Arditamente gli domandammo: “State usando la forza per curarvi?”
“No!”, per noi fu un colpo.
Non potevamo credere alle nostre orecchie e per essere proprio sicuri ripetemmo la domanda. Nessuno sbaglio!
Poi gli chiedemmo: “Perché no? Come si curerà la malattia altrimenti?”
“Non posso spiegare, non capireste” fu la secca risposta.
Restammo ammutoliti.
Se non altro si era trovata la chiave di una parte dell’enigma, cioè la ragione per la quale la malattia era ritornata e aveva progredito. Ma resta tuttora il grosso mistero a proposito del suo strano atteggiamento e del suo non-intervento.
La gravità crescente della malattia si era evidenziata in tre chiare fasi, concomitanti rispettivamente con il completamento di Savitri, il Darshan e l'anniversario della Scuola; ogni fase progressiva era seguita da un ritiro sempre più profondo.
Fu probabilmente nella seconda fase che la Madre osservò: “Ogni volta che entravo nella sua stanza lo vedevo far scendere la Luce Supermentale.” Evidentemente aveva fissato la data della sua dipartita e stava facendo scendere la Luce più alta prima che il sipario calasse; noi invece interpretando male la frase della Madre le attribuimmo il significato che la Luce che scendeva era destinata a curarlo.
Dopo essere rimasto circa un’ora sulla sedia tornò a letto, sereno e maestoso, e Sanyal gli parlò perfino brevemente dello stato pietoso del Bengala. Ma la Madre sapeva la verità dietro le apparenze.
Dal mezzogiorno i sintomi aumentarono e in particolare le difficoltà respiratorie mentre la produzione di urina diminuì definitivamente: era un segno allarmante e decidemmo di fare un’analisi completa del sangue. Sri Aurobindo acconsentì con molta riluttanza. La nostra povera visione umana!
Era domenica e l’Ospedale della città era chiuso. Il dottor Nripendra e io andammo in cerca dell’assistente del laboratorio che prese un po’ di sangue dalla vena impercettibile di Sri Aurobindo; le iniezioni dovevano esser dolorose per quel corpo sensibile che si stava trasformando. Il risultato dell’esame ci impressionò: c’erano tutti i segni di un imminente blocco della funzione renale e non potevamo far niente! Come ultima risorsa gli somministrammo qualche medicinale. Ora era sempre immerso in sé e si svegliava solo quando lo chiamavamo per farlo bere. Questo confermò l’osservazione della Madre che egli era pienamente cosciente interiormente e confutò l’idea che si trovasse in coma uremico. Durante l’intero decorso della malattia non fu mai incosciente.
Alle cinque di sera egli si riprese un po’ e chiamò per avere la seggetta. Considerando il suo stato, gli chiedemmo di non muoversi dal letto ma egli insistette fermamente. Sapeva evidentemente ciò che faceva, mentre noi guardavamo sempre attraverso i nostri paraocchi da medici. Ci fu un deliberato sgombro dell’intestino, benché avesse mangiato pochissimo in tanti giorni. Poi camminò verso la grande poltrona imbottita: era ridiventato un sé di pace profonda. Ma ahimè, solo per un istante, e le difficoltà respiratorie tornarono con una forza raddoppiata. Andò nel suo letto e si immerse di nuovo in sé stesso. Fu in questi momenti che, uscendo spesso dalla trance, si chinò in avanti abbracciando e baciando sulla guancia Champaklal che gli era seduto a fianco. Anche Champaklal lo abbracciava a sua volta. Fu una visione meravigliosa, benché stranamente insolita per Sri Aurobindo che in quei dodici anni ci aveva perfino raramente chiamato per nome. Sapevamo che Champaklal soprattutto desiderava ardentemente qualche tenera espressione esteriore, ma la natura impersonale di Sri Aurobindo aveva impedito qualsiasi contatto fisico tranne in occasione dei nostri compleanni o del pranam del Darshan quando ci accarezzava la testa. Ora il desiderio ardente del cuore di Champaklal fu accontentato in pieno. Ma per quali motivi? Era il pagamento del debito di Dio al suo servitore per il servizio prestatogli per tutta la sua vita, senza l’attesa di alcuna ricompensa, salvo forse qualche occasionale sguardo, tocco o parola?
Anche da parte mia posso contare pochi tocchi luminosi che splendono come stelle in una notte buia. (...)
(...) Torniamo al nostro racconto. La Madre ritornò dalla Palestra scoperta dopo la sua solita presenza serale. Il giorno precedente non vi era andata e come risultato le attività della Palestra erano state sospese; una tristezza profonda era calata sul cuore dei gruppi dei giovani. Il Playground, dove una volta c’erano energia e rumore era diventato tristemente silenzioso. Per la prima volta alla gente era venuto il timore che lo stato di Sri Aurobindo fosse grave; la Madre dovette aver sentito lo scoraggiamento commovente dei suoi figli e il giorno successivo apparì alla Palestra.
Appena entrata tutto cambiò: ci fu la luce del sole su ogni volto e la gente si calmò perché ebbe fiducia che tutto sarebbe andato bene. Alcuni dissero in seguito: “Non potevamo mai immaginare che le cose andassero così male, perché la Madre aveva una tale compostezza e un aspetto noncurante che quando il 3 Dicembre non venne alla Palestra noi cademmo dalle nuvole. Quando però il giorno successivo tornò fra noi, l’incubo passò e dimenticammo tutto.”
Tornata da Sri Aurobindo posò la ghirlanda ai suoi piedi e si fermò a guardarlo. Di nuovo osservò: “Si sta ritirando.” Alle undici di sera lo aiutò a bere e a mezzanotte tornò di nuovo; questa volta egli aprì gli occhi e i due si fissarono con uno sguardo fermo. Eravamo spettatori silenziosi di quella scena cruciale. Ciò che passò fra loro era al di là della nostra comprensione, ma lo sguardo di Sri Aurobindo sembrava avere un tocco di dolcezza insolita.
All’una del mattino la Madre ritornò, il suo volto era calmo e non mostrava alcuna traccia di emozione. Sri Aurobindo era immerso in sé. La Madre chiese a Sanyal con tono quieto: “Che cosa ne pensi? Posso ritirarmi per un’ora?... Chiamami quando viene il momento.”
Può sembrare strano alla nostra mente umana che la Madre lasciasse Sri Aurobindo proprio in quel momento critico. Dobbiamo però ricordare che non stiamo trattando con una coscienza umana. Per la coscienza della Madre, sempre unita con quella di Sri Aurobindo, non era indispensabile la vicinanza fisica in tutti i momenti. Inoltre, sappiamo che in quell’ora particolare aveva un compito occulto molto importante da svolgere. Come la Madre ha detto, i motivi personali non esistono per coloro che posseggono la Coscienza Divina. (...)
(...) Circa dieci minuti prima della fine Egli mi chiamò per nome uscendo dal suo stato interiorizzato. Chiese l’ora e disse: “Nirod, dammi da bere.” Questo fu il suo deliberato ultimo gesto. Bevve pochissimo e non c’era nessun bisogno apparente di chiamarmi per nome. Quelle ultime parole suonano ancora nelle mie orecchie e rimangono scolpite nella mia anima. Apparentemente non esprimono niente di più di un bisogno fisico; ma per noi che consideriamo la Madre e Sri Aurobindo incarnazioni del Divino, una parola, uno sguardo, un tocco sono doni rari da aggiungere ai tesori dell’anima.
A me specialmente queste poche parole diedero la certezza che egli non mi aveva dimenticato, neanche nel suo ultimo momento e mi ricordarono la promessa fatta un tempo che non mi avrebbe mai abbandonato, per quanto sentissi di averlo servito indegnamente.
Dopo queste parole seguì l’ultimo tuffo e all’una e ventisei del mattino lasciava il suo involucro fisico. Il ‘Colonizzatore dell'Immortalità’ partì dalla dimora terrestre, alla presenza della Madre che restò eretta ai suoi piedi con un intenso sguardo penetrante, incarnazione di forza, di equilibrio e calma divine.
Champaklal crollò completamente e cominciò a singhiozzare. Non poteva accettare la terribile realtà e la Madre lo acquietò con uno sguardo severo. Dopo mezz’ora lei ci lasciò soli. Immersi in un dolore silenzioso e incomunicabile ci sedemmo vicini al suo corpo immobile.
Sanyal mi svegliò da quel torpore: “Ci sono tante cose da fare, alzati.” Sì, il corpo doveva essere preparato per l’esposizione pubblica. La notizia si era già sparsa. I fotografi dell’Ashram che non avevano avuto l’opportunità di riprenderlo da vivo, lo avrebbero fatto ora al Mahasamadhi [Termine con cui in India si indica la "partenza dal corpo" degli yogi (N.d.T.)]
Nel mattutino crepuscolo degli dèi i sadhaka vennero uno per uno e videro la Meraviglia e il Mistero, il corpo del Purusha d’Oro nel riposo eterno e con lacrime di gioia e di dolore offrirono la loro preghiera all’Uno che aveva dato tutto sé stesso per loro. Vidi anche con mia grande meraviglia e gioia che l’intero suo corpo era soffuso di una luce cremisi dorata, era così fresco e magnifico; sembrava avesse sollevato il mio manto di tristezza e mi sentii leggero e felice senza sapere perché.
Quando la Madre arrivò le chiesi ingenuamente: “Madre, non tornerà?” “No” rispose. “Se voleva tornare non avrebbe lasciato il corpo” e indicando la Luce disse: “Se questa Luce Supermentale rimane terremo il corpo in una custodia di vetro.” (...)
(...) Il 9 Dicembre l’aura di luce svanì e apparvero qua e là segni di scolorimento. Poi, seguendo le disposizioni della Madre, il corpo fu posto in una speciale cassa di palissandro foderata con fogli d’argento e con raso, il fondo reso confortevole da cuscini.
Il corpo di Sri Aurobindo venne avvolto in una coperta ricamata in oro. Alle cinque della sera fu portato dai sadhaka nel cortile dell’Ashram, sotto l’albero del Servizio [Nome dato a un grande albero situato nel cortile centrale dell’Ashram (N.d.T.)] (...) o albero dai fiori d'oro e deposto nel sepolcro approntato il 5 dicembre che da allora è chiamato Samadhi.................. (N.d.R.)
Il libro "Dodici anni con Sri Aurobindo" di Nirodbaran è disponibile tradotto integralmente in lingua italiana presso lo Sri Aurobindo Ashram Pondicherry India. Più specificatamente potrà essere ordinato presso la libreria ufficale dell'Asharam Sabda di cui riportiamo il link sabda.sriaurobindoashram.org/