Dodici anni con Sri Aurobindo di Nirodbaran - Cap. 8 LE CONVERSAZIONI
Coloro che hanno letto "Conversazioni con Sri Aurobindo" (o Conversazioni serali) devono aver compreso che Sri Aurobindo non era uno yogi avverso al mondo, perso nel silenzio estatico del Brahman, come Ramana Maharshi, né parlò, quando parlava, principalmente di questioni spirituali, come fece Sri Ramakrishna.
Infatti le nostre conversazioni coprirono un vasto campo di argomenti ed ebbero quasi una dimensione globale. Ci meravigliò la sua enorme conoscenza in tanti campi. Considerando la brevità del periodo durante il quale visse in stretto contatto con il mondo esterno, si sarebbe tentati di chiedere quanto di questa conoscenza fosse il risultato della sua esperienza pratica mondana e quanto il risultato dello yoga. In una lettera mi aveva detto: "Non cercare di gettarmi polvere allopatica negli occhi, ho visto tanto del mondo e molto di più da quando iniziai lo yoga." Perciò lo yoga deve aver aperto alla sua visione Pensieri che vagano nell'eternità e fatto di lui il possessore di una conoscenza infinita, secolare quanto spirituale.
"Mondo dopo mondo appare alla vista risvegliata'' dice in uno dei suoi sonetti ed ha attribuito tutto ciò che era divenuto per effetto dello yoga. In una delle nostre conversazioni fummo impressionati nell'udirlo dichiarare che anche se avesse scritto dieci volte di più di quello che aveva fatto, la sua conoscenza sarebbe rimasta inesaurita e quando mormorammo in una triste protesta che una tale e così grande quantità di conoscenza sarebbe andata persa per noi, rispose: "Praticate prima ciò che ho scritto." In un'altra occasione, allorché gli fu chiesto da un sadhaka come potesse scrivere nell'Arya su sette soggetti contemporaneamente, rispose che avrebbe potuto scrivere sette edizioni dell'Arya ogni mese per settant'anni senza che la conoscenza che gli veniva dall'alto si fosse minimamente esaurita.
Anche la Madre disse che Sri Aurobindo aveva scritto da una mente completamente silenziosa e tutto veniva giù direttamente sulla macchina da scrivere, altrimenti non sarebbe stato possibile scrivere settantacinque pagine ogni mese. A dire il vero era solo nell'ultima settimana del mese che si metteva a scrivere; ad Amrita era stato chiesto di ricordargli dell'Arya una settimana prima che andasse in stampa. Quando riceveva il segnale, Sri Aurobindo iniziava quella 'fatica Erculea' e la portava a termine con la massima facilità. Queste parole tratte da un suo sonetto, Ho bevuto l'Infinito come il vino di un gigante, attestano questo fatto sconcertante.
Abbiamo avuto la rara opportunità di bere giorno e notte per tanti anni a questa sorgente di saggezza e d'illuminazione yoghica; se non potemmo avere di più non fu perché egli aveva chiuso la sorgente ma piuttosto poiché i nostri piccoli recipienti non potevano contenere oltre. Si può allora capire come dopo la sua silenziosa Presenza umana-divina i suoi discorsi fossero l'aspetto più desiderato della nostra stretta associazione con lui. Eppure vennero in modo del tutto inatteso, perché Sri Aurobindo, grazie a come lo avevamo visto e conosciuto durante i Darshan, era riuscito a costruire nelle nostri menti l'immagine di un essere maestoso come la sua Vita Divina, di grande respiro come la Sintesi dello Yoga, inaccessibile, eccetto forse per gli dei, e per niente vicino, intimo o accostabile ai nostri desideri mortali come i suoi Saggi sulla Gita.
Naturalmente qualcuno di noi aveva avuto la straordinaria fortuna di conoscere il suo lato umano attraverso la sua inestimabile corrispondenza. È in forza di ciò che gli scrissi: "Mi avete ben sferzato per avervi definito grave ed austero durante il Darshan. Ma guardate quando andiamo dalla Madre come sorride serafica! Mentre il vostro nobile Sé, Signore, pur essendo vicino, appare sempre lontano, ad altezze Olimpiche, è difficile discernere la gravità o l'allegria di una faccia a tali altezze. Suppongo che la nostra concezione degli dèi si sia formata dalla visione di una tale figura." Rispose: "Né gravità né allegria, ma una condizione ampia, facile, quieta e amabile. Gli dèi non possono essere amabili?" Fu questo aspetto amabile che si evidenziò nelle nostre conversazioni.
Venimmo a sapere molto più tardi che Sri Aurobindo teneva 'conversazioni da tavola' nei giorni pre-Ashram con i suoi pochi giovani seguaci. Ma credo che le nostre siano state un passo avanti rispetto a quei discorsi, per la tranquillità, l'informalità, la naturale varietà e l'intimità di comunicazione dovute alle circostanze eccezionali in cui erano tenute. Sri Aurobindo non aveva nessun bisogno di esprimersi a parole, né nel nostro periodo né prima; è mia convinzione che il rapporto con noi fosse un atto di compassione per intrattenerci, in cambio dell'assistenza medica che ci era stato chiesto di rendergli. Posso aggiungere qui che qualsiasi servizio personale fatto al Divino, per quanto piccolo, porta un' ampia ricompensa.
Quando, dopo i primi giorni di disagio e sottomissione ai rigori medici, egli si adattò alle nuove condizioni di vita, iniziarono le conversazioni. All'inizio ebbero la forma di domande riguardanti la sua salute. Il dottor Manilal saliva alla mattina, poiché viveva fuori dalla cinta dell'Ashram, e restava in piedi con le mani giunte davanti a Sri Aurobindo sdraiato a letto. Dopo il pranam chiedeva sorridendo: "Come state, Signore? Avete dormito bene?" Le risposte di Sri Aurobindo erano piacevolmente brevi. Dopo questi limitati preamboli seguì la cascata.
Era sera, circa le sette, il nostro servizio era finito e Sri Aurobindo stava sdraiato a letto. Era accesa una pallida luce elettrica. Io ero uscito e tornato poco dopo: vidi gli altri seduti sul lato sinistro del suo letto, vicino ai suoi piedi, e notai lo svolgersi di una conversazione quasi bisbigliata, il Maestro era l'oratore. Raggiunsi subito il gruppo ma non potei arrivare molto vicino, tutti ascoltavano attentamente e anche se notarono il mio arrivo non poterono farmi posto. Fu la prima volta che parlò a lungo, ma poiché non eravamo abituati alla sua voce di bassa intonazione dovemmo tendere il nostro udito per afferrare tutte le parole, ma anche così ne persi tante.
Diverse persone ci hanno chiesto quale timbro avesse la sua voce. Non avendo capacità di esprimermi in tali delicate questioni temo di non poterla definire né dare l'esatta sfumatura del suono. La descrizione più realistica che posso azzardare è che era maschile ma dolce, qualcuno l'ha definita musicale, di tono basso, calma e misurata e con un chiaro accento inglese. Questa era la mia impressione acquisita durante una graduale vicinanza.
Nelle Preghiere e Meditazioni la Madre descrive la voce del Signore in un modo che si può applicare molto bene a quella di Sri Aurobindo. Il 27 Giugno 1913 scrive: "La Tua voce è così modesta, pacata e sublime nella sua pazienza e misericordia che non si fa sentire con nessuna autorità, nessuna potenza di volontà. È come una brezza fresca, dolce e pura; è come un mormorio cristallino che dona una nota di armonia ad un concerto dissonante. Solo per chi sa come ascoltare quella nota, come respirare quella brezza, essa contiene un tale tesoro di bellezza e un tale profumo di pura serenità e nobile grandiosità che tutte le illusioni stravaganti svaniscono o sono trasformate in un'accettazione gioiosa della verità meravigliosa che è stata intravista."
È un grande peccato che non abbiamo una registrazione della sua voce. La gente ci ha accusato di indifferenza e insensibilità, ma allora non c'erano radio e ventilatori a soffitto e anche fotografare la Madre era stato severamente vietato. Mi riferirono che quando la Madre uscì per vedere la nostra squadra dell'Ashram giocare una partita di palla a volo con una squadra esterna, qualcuno la fotografò e andò dal fotografo locale che conoscevamo per lo sviluppo, ma la Madre riuscì ad impedire la cosa. Inoltre, chi mai immaginava che Sri Aurobindo se ne sarebbe andato così improvvisamente? Fu per una invisibile provvidenza che furono prese poche fotografie nel suo ultimo anno di vita.
Spesso confrontavamo le fotografie precedenti con il suo aspetto attuale, desiderando che si facesse fare delle nuove fotografie da distribuire ai sadhaka in sostituzione di quelle vecchie. Una volta qualcuno fece dei ritratti di Sri Aurobindo copiando sue vecchie fotografie e glieli mandò. Guardandoli disse: "Assomiglio a un criminale! Sono così brutto da vedere?" Ma le nostre richieste di nuove fotografie venivano dolcemente respinte con la risposta umoristica (oppure era solenne?) che solo dopo la discesa della Supermente avrebbero potuto essere fatte.
Le fotografie scattate da Henri Cartier-Bresson, benché siano imponenti, sono tuttavia una povera cosa rispetto al vero aspetto fisico di Sri Aurobindo; come potrebbero rendere giustizia a tanta divina maestà, bellezza e serenità? Coloro che lo avevano visto con il suo splendente torso nudo in momenti e in pose diversi ora guardano queste riproduzioni e mormorano tristemente: "Era questa la figura che amammo e adorammo?" Una volta la Madre stava mostrando un ritratto di Sri Aurobindo a Champaklal e chiese la sua opinione. Questi rimase in silenzio e lei domandò: "Non ti piace?", al che egli esclamò: "Come può piacermi, Madre? Questa è semplice derisione, non lo guarderò nemmeno!" e la Madre sorrise. Ma la gente dice probabilmente che qualcosa è meglio di niente; è vero infatti che se non avessimo queste ultime fotografie ci sarebbe un grande vuoto nella nostra memoria su come era Sri Aurobindo, prima e dopo 'Il Giorno della Siddhi' del Novembre 1926 [Sri Aurobindo, dopo un'esperienza decisiva, si ritirò nella sua camera per meglio concentrarsi e vi restò fino alla fine della sua vita. (N.d.T.)].
Dopo quel primo giorno le conversazioni continuarono regolarmente alla stessa ora serale. Tutti sedevamo ammucchiati insieme vicino al suo letto, con Purani che qualche volta restava in piedi ad una certa distanza; i discorsi scorrevano sotto la debole luce e il nostro tranquillo ascoltare era rotto abbastanza spesso da esplosioni di risa. Avevamo molti ritagli di tempo poiché tutti i servizi medici erano finiti e ciò di cui dovevamo ancora occuparci era solo la sua cena leggera. Nel mezzo delle conversazioni qualche volta si insinuava la Madre che chiedeva a Sri Aurobindo con un sorriso: "Vi stanno facendo parlare?", temeva che il troppo parlare lo avrebbe sottoposto ad uno sforzo eccessivo. A volte eravamo così assorbiti nella conversazione che Sri Aurobindo doveva farci notare l'arrivo della Madre, allora ci ridisponevamo in ordine alla svelta pronti a riceverla ma lei insisteva dicendo: "Non muovetevi, non muovetevi."
La risposta del dottor Manilal era: "No, Madre, ora mediteremo!"
"Ma se voglio parlare?"
"Allora parleremo, Madre.", la sua pronta risposta era seguita da uno scoppio di risa.
Raramente partecipava ai nostri discorsi. Una volta chiese: "Perché ridete?", Sri Aurobindo rispose con un sorriso: "Sto raccontando loro la storia di mio fratello poeta, Mono Mohan." Fu una delle conversazioni più interessanti che tenemmo!
All'inizio, come dissi, il dottor Manilal fu la punta di attacco. Ciò che non osavamo chiedere al Maestro per la nostra giovane età e timidezza, o anche per mancanza di semplicità, era 'sparato' dal nostro attempato dottore in modo franco, dolce e semplice come quello di un bimbo e ne venivamo grandemente ricompensati. Eravamo così incantati dalla novità delle conversazioni che nessuno di noi pensò di documentarle. Io prendevo qualche appunto mentale che ripetevo a Dilip durante la visita che gli facevo per il thè del mattino, e facevo ridere tutti. Devo essergli riconoscente per i festeggiamenti con sontuose colazioni che mi offriva in cambio della divina ambrosia che portavo a lui e a certi suoi amici. Dopo circa due settimane di preziosi discorsi perduti, che se fossero stati annotati e pubblicati avrebbero costituito un altro volume, compresi il mio errore e pensai: "Perché non documentarli?", ma ero in dubbio: "A che cosa servirebbe, dato che non verranno mai pubblicati?"
Così, con due stati d'animo contrapposti, incominciai ad annotarli nel pieno della notte dopo che il lavoro era finito, oppure in altre ore strane. Abbastanza spesso i miei colleghi mi aiutavano a salvare certi punti che mi erano sfuggiti o a correggere ed aggiungerne altri, tuttavia quasi un terzo delle conversazioni non vennero documentate per mancanza di tempo o per pura pigrizia. Nel frattempo si era sparsa la notizia che Sri Aurobindo si intratteneva a conversare con noi.
La gente incominciò allora ad appostarsi e a perseguitarci per avere un po' di nettare, ed il nostro prestigio salì. Si formarono diversi gruppi secondo la legge della simpatia e dell'attrazione per ascoltare le 'notizie divine'. Alcuni avvicinavano il dottor Manilal, altri Purani, certi Satyendra e altri ancora accostarono me; in molti ci consigliarono di tenere un diario e alcuni dovettero sospettare che già lo facessimo. Sri Aurobindo non lo sapeva, almeno fisicamente, e avevamo anche il timore che se lo avesse saputo avrebbe potuto smettere di parlare. Ora sento che qualche Mano deve avermi spinto a superare la mia riluttanza e ad ottenere una documentazione abbastanza buona, dopo tutto.
Con il recupero graduale della salute da parte di Sri Aurobindo l'ora delle conversazioni cambiò. Vennero tenute per lo più durante la sua spugnatura e più tardi si svolsero durante il bagno. Con il passare degli anni l'originale abbondante profluvio incominciò a diventar sempre più scarso finché negli ultimi anni ci fu praticamente un servizio silenzioso a una Presenza silenziosa. Forse avevamo esaurito ogni argomento ed era seguita una sazietà che aveva inaridito tutta la nostra ispirazione, oppure Sri Aurobindo aveva ritirato il suo atteggiamento interiore d'approvazione. Solo quando arrivava il dottor Manilal da Baroda l'atmosfera silenziosa si ravvivava per un po' fin quando anche lui cadeva presto in uno stato quiescente.
Quanto alla portata e alla varietà dei discorsi, i lettori hanno potuto farsene una discreta idea tramite i nostri libri. Essi mostrano la conoscenza enciclopedica di Sri Aurobindo e sostengono la verità del commento che lui stesso fece affermando che se avesse scritto tutto ciò che conosceva sarebbe stato dieci volte di più di quello che aveva già scritto. Aveva in mente soggetti seri o sublimi ma parlava anche delle normali faccende della vita. Una volta il dottor Ramchandra mi disse di aver avuto con il Guru una vivace discussione sulle corse ippiche! Molto più sorprendenti erano la serenità e la libertà con i quali i discorsi erano tenuti e come da entrambi le parti non ci fosse alcun senso di costrizione o timore bigotto a reprimere i nostri impulsi.
Dimenticammo il sublime rapporto Guru-shishya e diventammo come amici di lunga data. Era uno Sri Aurobindo molto diverso da quello di altre ore della giornata.
La neve alta, serena e silenziosa sulle cime Himalaiane si scioglieva in un quieto e fresco ruscello gorgogliante; trattieni nelle mani quelle acque pure e santificate, aspergile sul corpo, bevile o gioca con esse come un bambino. Come sono perennemente fresche e diversamente ricche, sempre scintillanti della sua pronta arguzia e umorismo!
Ma il ruscello scorse, come ho detto, solo in un tempo particolare e non per un lungo periodo e di nuovo ritornò la Presenza maestosa, serena e silenziosa sulle cime!
Si potrebbe dire che l'austero mantello di un Dio adagiato, la sua veste di silenzio, era scivolato via, svelando alla nostra vista il corpo di una divinità umana. Ma avrebbe indossato di nuovo quella veste, ed entrambe le visioni avrebbero avuto il loro fascino e grandiosità inesauribili.
Viene naturale un confronto con i discorsi di Sri Ramakrishna. Il loro spirito è forse lo stesso e c'è anche la leggerezza e la vivacità, ma a parte altre differenze i suoi discorsi erano limitati di argomento, mentre col maestro non si lasciava fuori dalle discussioni nessun argomento, poiché tutta la vita è yoga. Nel caso di Sri Aurobindo, sempre Samam Brahman, l'impersonalità caratterizzava tutte le sue espressioni, non importava quale fosse il soggetto del discorso; nondimeno si poteva sempre percepire il tocco caloroso della personalità dietro l'usuale facciata impersonale. Per esempio, benché mentre parlava quasi non ci guardasse né ci chiamasse per nome e i suoi occhi fossero abbassati o guardassero in avanti, il dolce tono della sua voce e le scintille di umorismo personale riflettevano i dolci raggi di un sole temperato.
Ho scritto tanto sulla sua voce, tanto vale aggiungere poche parole sui suoi occhi. Le opinioni in merito variano secondo la qualità interiore della persona che li ha visti.
Sir Edward Baker, Governatore del Bengala, grande nemico del nazionalismo ardente di Sri Aurobindo, li definì 'gli occhi di un pazzo' quando lo visitò nella prigione di Alipur. Il direttore inglese del Collegio di Baroda disse: "... C'è un fuoco mistico e una luce in essi. Penetrano nell'aldilà. Se Giovanna d'Arco udiva voci celesti, Aurobindo probabilmente ha visioni celesti."
Upen Banerjee, uno stretto compagno di Sri Aurobindo del periodo rivoluzionario, descrive così il suo primo incontro con lui: "Quell'uomo malaticcio, scuro e afflitto da malaria era Aurobindo? Era lui il nostro Capo?... Il mio spirito fu terribilmente scoraggiato a tale vista, ma proprio allora si voltò a guardarmi. Non so come descrivere quello sguardo. C'era una liquida scintilla di divertimento in esso, ma le pupille mi diedero un senso di meraviglia misteriosa che sconcertò tutta la mia analisi. Ancora oggi quel mistero non mi ha lasciato."
Arjava (J. A. Chadwick) osservò: "Come scrive bene, limpido come cristallo! Non una traccia di confusione dovunque, nessun abracadabra, nessuna ostentazione, ma quanto è luminoso, diffonde luce senza calore, come i suoi occhi!"
Ho detto che Sri Aurobindo ci guardava raramente negli occhi, eccetto ai Darshan quando, disse, lanciava uno sguardo penetrante a tutti. Il più delle volte guardava in avanti o in giù e raramente i suoi occhi erano completamente aperti. Durante i pranam nella sua stanza nei giorni del nostro compleanno o in quelli del Darshan ci guardava profondamente e costantemente negli occhi; in quei momenti potevo osservare il loro colore: era un marrone scuro. Non mi era dato vedere altro, oltre la dolcezza e la compassione nell'espressione, ma una volta e solo una volta scorsi un paio di occhi diversi e quell'esperienza è indimenticabile.
Aveva finito la colazione e io lo stavo servendo. Per appena un istante memorabile egli aprì gli occhi a metà e vidi due specchi d'acqua profondi, intensamente neri, sereni, inscrutabili e insondabili. Era come se in un pomeriggio silenzioso fossi entrato in un bosco denso e improvvisamente avessi raggiunto uno stagno profondo e visto le sue acque immobili e scure.
La gente che leggeva la nostra Corrispondenza aveva l'impressione che i nostri giorni trascorressero tutto il tempo fra scherzi, allegria e battute spiritose, un amico infatti non volle credermi quando dissi che l'effervescenza era durata solo un breve periodo. Altrimenti non si sarebbe uno yoghi e tanto meno Sri Aurobindo.
Nessuno, venuto a contatto con Sri Aurobindo fin dai giorni dello Swadeshi [Movimento sostenuto anche da Sri Aurobindo, che ai primi del secolo propugnava il boicottaggio delle merci inglesi e la produzione e il consumo di prodotti indiani. (N.d.T.)], o anche quando frequentava la scuola in Inghilterra, potrà mettere in dubbio la mia interpretazione della sua natura. A cos'era dovuta? Allo yoga o a carattere innato? In una delle sue lettere a Dilip, quando questi si lamentò che Sri Aurobindo non rideva e neanche sorrideva, lui rispose che fin dall'infanzia era stato allontanato dalla famiglia e abituato a vivere una vita solitaria. La sua natura era quindi diventata riservata e piuttosto remota e schiva da eccessive emozioni personali. Suppongo che il clima razziale inglese possa aver avuto una grande influenza. Inoltre, lo yoga che aveva praticato, incominciando con la esperienza trascendentale del Nirvana, deve aver coronato questa sua disposizione naturale; credo che il Buddha, con tutta la sua compassione, non poteva essere stato che impersonale nella sua comunicazione quotidiana.
E questa grande impersonalità anche nei rapporti personali non è forse la base del suo yoga? Mi sono spesso domandato quale fosse il suo stato di coscienza quando per esempio parlava con noi o stava dettando Savitri. Ora ho imparato che i tre stati di coscienza: trascendente, cosmico e individuale, possono operare contemporaneamente. Mi domandavo inoltre come potesse interessarsi anche alle conversazioni ed ai fatti più banali, 'non spirituali' o divertenti e scherzare con noi, diciamo, sul russare o sulla calvizie! Aveva trovato il rasa, il diletto di Brahman in tutto. Ma i suoi scherzi non erano mai veramente banali, potevano essere giocosi ma avevano sempre una componente intellettuale.
Ho già riportato qualche esempio del suo umorismo nei capitoli precedenti e citerò ora qualcosa a dimostrazione del suo carattere allegro.
Un giorno, rompendo improvvisamente il silenzio, si rivolse a Purani.
"C'è qualcosa di simpatico per te, Purani." (Per una volta usò il suo nome!)
Purani: "Per me?"
Sri Aurobindo: "Sì. E arrivata dall'America una lettera indirizzata a 'Sri Aurobindo Ashram'. Chi l'ha scritta dice: 'Ho sentito che lei è un grande "yoga". Anch'io sono uno"yoga". Ho incominciato a predire gli eventi sportivi. Posso entrare in trance e sapere tutto. Se acconsente a lavorare in collaborazione con me divideremo i profitti. Mi faccia sapere le sue condizioni. Se non vuole i soldi per sé stesso può darli ai poveri. La nostra collaborazione sarà un servizio a lei, a me e ai poveri.' Cosa ne dici Purani? Anche tu puoi andare in trance o mandare in trance Nirod!"
Non era per niente un abile parlatore, come si intende comunemente; Tagore per esempio lo era, coloro che hanno udito o parlato con lui, ricordano la loro esperienza come 'grande'. Quando leggiamo i suoi discorsi possiamo immaginare facilmente quanto brillante dev'essere stato, con le sue ricche similitudini e metafore, la sua scintillante arguzia ed il motteggio, lo sfavillio degli occhi, la cadenza della voce e tutti gli altri gesti spettacolari che mettevano la sua personalità più in evidenza dei discorsi.
Lo stile di Sri Aurobindo era del tutto diverso, in completo contrasto. Qui la vita è stabile, non ci sono vortici e turbini e tutto scorre con discrezione in un fluire quieto, anche le battute erano dette casualmente, con tono tranquillo e in un tipico modo inglese che fa ridere ancora di più, la personalità rimaneva in secondo piano e l'argomento diveniva più importante.
I suoi discorsi con il dottor Manilal meritano un'attenzione speciale. Il dottore aveva esperienza medica e mondana, la Madre riteneva che egli avesse nel proprio campo medico una capacità mentale magistrale, ma avesse ancora in sé un'anima da bambino e questa parlava liberamente con Sri Aurobindo. Il Guru ascoltava i suoi discorsi con un calmo sorriso paterno e amichevole. La sua lunga tiritera sul Jainismo lo divertiva, contrariamente a noi che ci annoiavamo, e dopo che il dottore era partito Sri Aurobindo chiedeva ingenuamente a Purani quanto la conoscenza sul Jainismo del dottor Manilal fosse valida e sicura. Era molto divertente vedere come Sri Aurobindo lo eludesse, stuzzicasse e giocasse con lui, eppure obbedisse alle sue ingiunzioni mediche!
"Oh! Il dottor Manilal sta arrivando! Devo far penzolare la gamba!" esclamava; e noi a turno dicevamo: "Sembra che voi abbiate paura del dottor Manilal!" Si sentiva che il tono era quello di un camerata che chiacchierava con un altro; l'età, la posizione e la natura del dottore provocavano una risposta del Guru in accordo con esse. Una volta Sri Aurobindo osservò che il dottor Manilal era molto semplice e franco come un bambino.
Durante le nostre conversazioni che proseguirono per tanti anni e toccarono tanti argomenti non ricordo neanche una sola occasione in cui Sri Aurobindo abbia perso la pazienza con noi. Non rifiutava mai di rispondere a qualunque domanda, al contrario, si spiegava molto a lungo e ripetutamente se qualche particolare non entrava nella mia testa. "Capisci?", mi chiedeva dolcemente, ed il suo tono era sempre affabile. Anche quando uno di noi si lamentò di non potere accettare il suo yoga egli esaminò le sue difficoltà e rispose alle sue obiezioni in maniera gentile e spassionata. Questo modo di comportarsi doveva essere dovuto in parte alla natura innata del Maestro e il resto allo yoga. Ci furono anche discussioni animate fra noi in sua presenza, egli ascoltava tranquillamente la nostra vanità infantile e ci dimostrava i nostri sbagli solo quando chiedevamo le sue opinioni. Se non abbiamo tratto profitto dai suoi discorsi quanto avremmo dovuto, almeno la sua paziente tolleranza e indulgenza, la sua ampiezza di vedute e il lievito del suo umorismo hanno avuto un'influenza raggiante sulle nostre anime.
Guardando indietro a quei giorni udiamo nella brezza un sospiro che mormora: "Quei giorni belli che non sono più!" ed il ricordo nostalgico di allora rivive in momenti quando ci incontriamo e iniziamo a parlare di quegli anni passati.
Satyendra ricordò un fatto che avevo dimenticato completamente.
Una volta la Madre informò Sri Aurobindo che Bhishmadev, un discepolo di tempi addietro, ed ora un eminente cantante del Bengala, doveva esibirsi alla radio e desiderava tantissimo che Sri Aurobindo lo ascoltasse. Così gli fu messa vicino la radio, e spugnatura e musica procedettero simultaneamente. Quando alla fine del programma di Bhishmadev gli chiedemmo se la musica gli fosse piaciuta, rispose: "Oh, me ne sono dimenticato completamente!", e noi scoppiammo in una risata.
Un fatto simile si ripeté a proposito di Dilip. Aveva mandato da Calcutta l'orario del suo programma alla radio e supplicava Sri Aurobindo di ascoltarlo. Sri Aurobindo chiese a Champaklal di ricordarglielo. Quando la musica era già finita domandò a Champaklal: "Dov'è la musica di Dilip?", lui rispose ridendo che era già finita!
Infine, coloro che hanno letto Conversazioni con Sri Aurobindo e la sua Corrispondenza con me non possono non notare una differenza impressionante fra i due scritti per tono e maniera. Benché entrambi abbiano un carattere di intimità e informalità, la Corrispondenza è certamente più libera; in quest'ultima Sri Aurobindo si è lasciato andare, per citare la sua frase, mentre nelle Conversazioni c'era più riserbo.
È a causa di un insieme di circostanze e di situazioni diverse? Credo ci sia qualcosa di più. Anche se l'avessi incontrato da solo non penso che sarebbe stato così libero nell'esprimersi quanto con la penna, poiché la sua natura schiva e riservata avrebbe messo un freno all'abbandono totale. Naturalmente, la corrispondenza era limitata ad una sola persona e ai suoi interessi particolari; le conversazioni riguardavano invece una sfera più ampia e più varia e in questo hanno un pregio tutto loro.
Il libro "Dodici anni con Sri Aurobindo" di Nirodbaran è disponibile tradotto integralmente in lingua italiana presso lo Sri Aurobindo Ashram Pondicherry India. Più specificatamente potrà essere ordinato presso la libreria ufficale dell'Asharam Sabda di cui riportiamo il link sabda.sriaurobindoashram.org/