Dodici anni con Sri Aurobindo di Nirodbaran - Cap. 3 LA CASA DEL SIGNORE
I discepoli a cui la Madre aveva affidato il compito di assistere Sri Aurobindo, tra cui Nirod, si erano installati nella Casa per un periodo indefinito. Era il luogo dove Sri Aurobindo e la Madre avevano vissuto per circa dieci anni prima che essi interrompessero il loro isolamento.
Sri Aurobindo non era uscito di un solo passo, né aveva ricevuto visitatori abitanti dell'Ashram; soltanto Champaklal, il suo assistente personale, aveva avuto occasione di vederlo. Egli trovava che il corpo di Sri Aurobindo splendesse come l'oro.
Il nostro compito era di servire il Signore come si fa nel tempio (e non come medici perché non ne aveva più bisogno), di assisterlo nelle piccole necessità materiali, essergli vicini o anche divertirlo con i nostri discorsi e la nostra presenza. Questo fu il nostro Yoga. Cosa poteva esserci di meglio che servire personalmente il Guru, il Divino? Sri Ramakrishna aveva detto a suo nipote Hriday: "Servimi ed avrai tutto ciò che vuoi". Noi non avevamo manifestato fino ad allora nessun desiderio particolare e tutto il nostro cuore era offerto a lui in una assoluta consacrazione.
Era per noi gratificante ricordare che Sri Aurobindo, all'inizio, si era detto felice di avere una tale squadra per servirlo. Il servizio era la nostra vita e le ore passavamo "con l'impronta della luna sulle vele" [Da una poesia di Nirodbaran]. In realtà, non aveva bisogno di tante mani poiché aveva quasi recuperato l'uso delle gambe ma non era abitudine né di Sri Aurobindo né della Madre eliminare qualcuno, o anche qualcosa appena non ce ne fosse stato bisogno, la loro grazia sarebbe stata sempre con lui.
Come lo servivamo? Il modo migliore per darne un'idea chiara sarebbe quello di descrivere la vita giornaliera di Sri Aurobindo, ora che aveva assunto un ritmo definitivo, con l'inserimento delle nostre attività. Temo comunque che illustrare la sua vita esteriore possa creare malinteso nella mente dei lettori in merito al suo sé reale; infatti, poiché l'uomo si lascia guidare dalle apparenze e dalle espressioni superficiali, è più probabile che rimaniamo colpiti dai gesti e dalle parole del Maestro senza avere la minima idea della vasta coscienza da cui fluivano quei movimenti. Per esempio, quando ci parlava amichevolmente potevamo mai immaginare che era il Divino a rivolgersi a noi quali esseri divini? Quando guardava il dottor Manilal, poteva questi percepire che vedeva non più il dottor Manilal ma il Divino vivente nel Divino? Come potevamo supporre che, pur vivendo nei confini del corpo e di quella stanza, egli potesse vedere Parigi, Tokyo e New York? Poteva perciò dire: La mia anima senza orizzonti si espande in una visione illimitata.
Riferendomi ad un certo contesto, una volta gli dissi: "Sono soddisfatto di voi come Sri Aurobindo puro e semplice". Rispose: " Nessuna obiezione, solo, non si chi sia questo SRi Aurobindo puro e semplice. Se tu lo sai, mi congratulo con te". Che sia lungi da me interpretare la sua coscienza interiore attraverso le attività esteriori. Una volta gli chiesi di dirmi i nomi di coloro che stavano godendo della coscienza Brahmica perché ne potessi avere una conoscenza pratica! Mi rispose: " Come puoi averne una conoscenza pratica conoscendo chi la possiede? Altrettanto potresti aspettarti di avere una conoscenza pratica dell'alta matematica sapendo che Einstein è un grande matematico." (...)
(...) Circolavano tante storie fantastiche circa la sua vita esteriore, che guadagnavano terreno e credito poiché egli viveva in isolamento. Certa gente credeva che non mangiasse e non dormisse, ma che restasse assorto in Samadhi; altri avevano sentito dire che poteva mantenere il corpo sospeso in aria; altri ancora, come Arjuna, volevano veramente sapere come parlava, sedeva e camminava.
La Madre vi aveva scoraggiato, ad un certo punto dal soffermarci su questi aspetti esteriori, per timore che la mente della gente potesse essere deviata dalla realtà; dopo tutto la cosa più importante non è ciò che un uomo sembra essere. Possiamo affermare che tutte le azioni di Sri Aurobindo scaturivano dalla Coscienza Divina che lui incarnava: esse erano Yukta Karma [Azione in unione con il Divino]. Ma come dimostrarlo? Avendo forse una conoscenza pratica delle sue attività giornaliere? Insomma chi vede, vede!
Iniziamo allora dallo spuntare del giorno.
I raggi del sole della finestra ad est. Egli era a letto, sveglio, ed iniziava con gli esercizi prescritti da Manilal. Alle sei e trenta si sedeva per ricevere la Madre che prima di andare al balcone per il Darshan lo vedeva per avere a sua volta il Darshan da lui. Sri Aurobindo ci aveva dato precise istruzioni di svegliarlo prima dell'arrivo della Madre, d'altra parte Lei voleva che non disturbassimo il suo sonno: così alcune volte ci trovavamo in imbarazzo. Champaklal, per la sua natura devota, non interrompeva mai il suo tranquillo riposo dopo gli esercizi mente io, quando ero solo, tentavo in tutti i modi di svegliarlo. Altre volte si svegliava da solo e veniva a sapere che la Madre era già venuta ed andata via! Lei tornava dopo il Darshan per iniziare la giornata con le sue benedizioni, così come facevamo noi con lei.
Seguiva poi la lettura di The Hindu. Tra le nove e le dieci la Madre veniva a pettinargli i capelli, vi applicava una lozione e gli faceva le trecce; di solito in questi momenti portava a termine anche qualche altro lavoro. (...) A volte lei gli parlava di cose private e, quando udivamo la sua voce abbassarsi ci allontanavamo discretamente. Lei credeva più nei metodi sottili che nelle espressioni palesi: il gesto, lo sguardo, il sorriso, l'occhiata sfuggente ed il silenzio, mille erano le sue vie di comunicazione con l'anima. (...)
(...) Seguiva poi un lungo intervallo durante il quale Sri Aurobindo restava solo fino alle tre o quattro del pomeriggio, ora in cui arrivava la prima colazione; durante tutto questo periodo prendeva a volte solo un bicchiere d'acqua. Cosa faceva tutto solo in un silenzio misterioso? Nessuno, all'infuori della Madre, avrebbe potuto spiegarlo precisamente. A noi era stato detto soltanto che aveva un compito speciale da eseguire e doveva essere lasciato solo, a meno che, naturalmente, non ci fosse stato bisogno di lui per qualcosa di veramente urgente.
Quanto potevamo vedere era che sedeva silenziosamente ne letto, e più tardi nella capace poltrona, con gli occhi aperti come qualunque altra persona. Passava così ore ed ore, cambiando a volte posizione per accomodarsi meglio; gli occhi si muovevano leggermente e benché di norma guardasse la parete di fronte non fissava mai qualche punto particolare, come si fa nel tratak [Esercizio yoghico di concentrazione su un solo punto]. Qualche volta, con nostra delizia, il suo volto si irradiava di un sorriso luminoso senza apparente motivo, come un bambino che sorride nel sonno; solo che era un sonno "da sveglio", poiché quando passavamo attraverso la stanza ci distingueva vagamente, come ombre.
Occasionalmente guardava verso la porta, quando udiva qualche rumore che potesse indicargli l'arrivo della Madre. La sua coscienza esteriore non era certo cancellata; quando voleva qualcosa, si udiva la sua voce come se provenisse da una lontana caverna. Raramente lo trovavamo con gli occhi chiusi, immerso in sé stesso. Se in quei momenti veniva la Madre per qualcosa di urgente, o semplicemente con un bicchiere d'acqua, e lo trovava così interiorizzato, attendeva accanto al letto finché lui non riapriva gli occhi. Allora, vedendola in attesa, esclamava; "Oh!", ed il viso della Madre si apriva in uno squisito sorriso.
Ci aveva detto che aveva l'abitudine di meditare con gli occhi aperti. Noi ci tenevamo pronti per ogni chiamata, seduti ai posti assegnatici, dietro il letto, o pulivamo e svolgevamo altri lavori nella stanza. Una chiamata regolare era per una pastiglia di menta che prendeva un po' prima di mangiare e se il pasto era in ritardo ne chiedeva una seconda. (...)
(...) Cosa stava facendo allora con tanto agio divino e naturale padronanza? Una volta mi scrisse che doveva concentrarsi per svolgere un lavoro speciale; questo, penso, ce ne dà la chiave. Erano i soli momenti che aveva a disposizione per la sua opera cosmica: far discendere la Luce Supermentale o immergersi profondamente nell'Inferno più basso, inviare la sua forza per qualche scopo mondiale: la guerra in Spagna, la Seconda Guerra Mondiale, aiutare gli Alleati o risolvere difficoltà dell'Ashram, anche individuali, questa doveva essere la natura del suo lavoro speciale. (...) Come Sri Aurobindo compisse tutte queste operazioni è al di là della mia comprensione.(...)
(...) Il lungo periodo di silenzio cessava soltanto con l'arrivo del suo primo e principale pasto del giorno; tuttavia raramente lo sentivamo dire che lo stomaco 'stava diventando irrequieto'. Il secondo pasto, la cena, doveva essere abbastanza leggero. Permettetemi di sottolineare anzitutto una cosa: nel suo tenore di vita seguiva la regola della Ghita, moderazione in tutto; tale era il suo insegnamento così come la sua pratica. Fermarsi alle normali faccende esteriori della vita, mangiare, dormire, scherzare, eccetera e sostenere affrettatamente che era un uomo come altri sarebbe logico ma non vero, infatti nello yoga di Sri Aurobindo anche una esperienza elevata non doveva disturbare il ritmo normale della vita.
Naturalmente io ero estremamente curioso, come altri credo, di vedere che cibo mangiasse. Aveva qualche preferenza per un piatto particolare? E quanto aveva in comune con il nostro gusto? Dovemmo aspettare a lungo prima che riacquistasse la salute e potesse sedersi per 'godere' un vero pasto. Appena la gente lo seppe cominciarono ad arrivare in massa piatti preparati dalle varie sadhike, come per la divinità del tempio; e così come fa la divinità fece anche lui, o meglio, fece la Madre per lui: gli veniva offerto solo un po' di ciascun piatto e tutto il resto era rimandato indietro come prasad. (...)
(...) Il cibo delle devote, anche se gustoso, era a volte troppo grasso o troppo speziato e capitò che una volta non fu di suo gradimento, perciò si installò una cucina separata a cui si diede il nome di Cucina della Madre dove si preparava solamente il cibo per Sri Aurobindo e la Madre nelle più perfette condizioni igieniche, seguendo le istruzioni speciali della Madre stessa. La sua insistenza era sempre sulla pulizia: disse in uno dei suoi recenti messaggi: "La pulizia è il primo passo indispensabile verso la manifestazione supermentale..." Io interrogai Sri Aurobindo a questo proposito: "Mi chiedo perché il Divino sia così scrupoloso sui contagi, infezioni eccetera. E' vulnerabile ai virus ed ai microbi?" Rispose: "E perché mai dovresti aspettarti che il Divino si nutra di germi, bacilli e veleni di ogni genere? E' una singolare teologia la tua!" (...)
(...) Il suo pasto terminava con un abbondante bicchiere di succo di arancia; lo sorseggiava lentamente guardando ogni volta per vedere quanto ne fosse rimasto e lasciava sempre una piccola quantità come prasad. Una volta il succo era leggermente fermentato e dopo uno o sue sorsi non ne bevve più dietro suggerimento della Madre: noi cospirammo per farne un buon uso come prasad, ma Sri Aurobindo intuì il nostro intento segreto e ci avvertì! Dovemmo rinunciare alla nostra tentazione. (...)
(...) Mentre Sri Aurobindo mangiava in silenzio, la Madre parlava con lui di varie questioni o gli dava notizie sulle malattie di taluni, sui visitatori intervenuti per il Darshan, o discuteva di problemi minori che riguardavano la vita dell'Ashram. Qualche volta chiedevamo anche l'opinione della Madre su questioni mediche o altro; se insistevamo con il nostro parere contro il suo, Sri Aurobindo ci fermava dicendo: "Pensate che la Madre non sappia?"; oppure: "Ne sapete più della Madre?"; similmente, se Sri Aurobindo faceva qualche commento lei lo accettava come l'ultima parola.
Spessissimo i sadhaka la sentivano dire: "Così ha detto Sri Aurobindo"; e Sri Aurobindo riconosceva a sua volta l'autorità della Madre. Una volta un sadhaka espresse la volontà di fare qualcosa in un certo modo; la Madre aveva quasi acconsentito ma sentendo l'obiezione di Sri Aurobindo disse: "Oh! pensate così? Allora non si può fare!" Per tutti e due la parola dell'altro era legge; uno di noi osservò che solo due persone avevano realizzato e praticato lo yoga del 'surrender' di Sri Aurobindo: la Madre dandosi a Sri Aurobindo e Sri Aurobindo dandosi alla Madre.
Circa un'ora dopo il pasto il Maestro faceva il bagno. Ho già descritto il lavaggio con le spugne: adesso parlerò della doccia fatta con un sistema a spruzzo. Aspettammo più di due anni prima che questo tipo di bagno fosse possibile. Dopo il pasto riposava un po', poi si alzava e sedeva sul bordo del letto aspettando l'arrivo della Madre e nell'intervallo faceva qualche esercizio per la gamba prescrittogli dal dottor Manilal; noi ci agitavamo quando lei qualche volta era in ritardo, ma Sri Aurobindo era l'immagine della pazienza. Di tanti in tanto, se si assopiva, Champaklal usava qualche cuscino per sorreggergli la schiena e lo sosteneva da dietro fino all'arrivo della Madre; poi, in sua presenza, egli camminava per circa mezz'ora. Ci si potrebbe chiedere perché dovesse camminare alla presenza della Madre. Certamente non per ragioni fisiche: poiché il suo camminare non era ancora sicuro e stabile, la presenza della Madre era necessaria per proteggerlo da qualsiasi danno le forze occulte avrebbero potuto causargli; è così che io lo capisco. Come Sri Aurobindo proteggeva la Madre, lei proteggeva lui quando era necessario: era il ruolo del Signore e della Shakti; sono fenomeni occulti al di là della comprensione umana.(...)
(...) Una parte del corpo divino che non poteva essere affidata alle nostre rudi mani era la testa, la corona maestosa. Il lavaggio del capo era dominio della Madre ed il nostro compito consisteva soltanto nell'aiutarla. Potevamo capire facilmente perché tutta la complicata operazione che lo riguardava non poteva essere lasciata senza pericolo alle nostre rozze, indelicate e non pratiche mani. Se ce ne fossimo occupati, temo, avremmo udito Sri Aurobindo chiedere: "Mi avete lasciato qualcosa sulla testa?" Ora invece le abili mani ed il tocco delicato della Madre facevano risplendere i suoi capelli con la lucentezza della seta e tutti i capelli che si staccavano durante la pettinatura passavano nel tesoro di Champaklal. (...)
(...) Un'altra piccolissima operazione che ci permetteva era il taglio delle unghie. Satyendra le puliva tutti i giorni ma noi le tagliavamo soltanto ogni mese o due, dopo che erano diventate sufficientemente lunghe per essere conservate intatte. Era un'operazione molto delicata poiché la lama, o le forbici, qualche volta sfioravano la pelle, specialmente quando chi tagliava non aveva una buona vista. (...) Se un pezzettino di unghia cadeva sul tappeto e si perdeva, cominciava la ricerca della preda, alla quale Sri Aurobindo stesso partecipava sorridendo chiedendoci: "Ce l'avete?". Tutte queste unghie, come i capelli, erano legittima proprietà del nostro custode, Champaklal.
La Madre veniva nella stanza di Sri Aurobindo un'ora dopo il bagno per il loro solito lavoro. Allora noi lasciavamo la stanza chiedendoci di cosa parlassero; probabilmente degli affari dell'Ashram, di problemi mondiali e di tutto ciò che la Madre 'riteneva necessario che lui sapesse'. (...) Gli incontri duravano dai quindici minuti ad un'ora al massimo e quando la Madre apriva la porta ci trovava là fuori in attesa. Ci salutava con un sorriso incantevole e tornava al suo lavoro; noi entravamo alla presenza.
Durante il 1945 la vista del Maestro iniziò a deteriorarsi e la Madre suggerì che io assumessi tutto il lavoro di lettura e scrittura che continuò fino alla fine. La sera rivedevamo le vecchie versioni di Savitri, leggevamo lettere, poesie, articoli letterari di discepoli o di estranei ed altre cose. (...)
(...) Il periodo di tempo che non ho ancora descritto, è la notte. Per diversi anni, specialmente gli ultimi, fu il più interessante. Attendere ai pasti di Sri Aurobindo, alle sue passeggiate e al suo sonno diventò col passare del tempo molto complicato, poiché queste attività venivano a dipendere dagli impegni della Madre. (...)
(...) Lei aveva mille cose da seguire oltre all'organizzazione dell'Ashram ed ora doveva anche sostenere la responsabilità di Sri Aurobindo; non c'era da meravigliarsi se i suoi tempi dovevano essere molto flessibili. E troppo impercettibili, elusivi e rapidi sono i suoi movimenti per il nostro metro umano!
Possiamo immaginare che tenesse la meditazione collettiva alle undici di sera o qualche volta anche all'una di notte? Di conseguenza la cena di Sri Aurobindo cominciò a spostarsi dalle ore normali fino alle undici di sera, dopo di che la Madre scendeva per la meditazione; ma se talvolta era in ritardo il pasto doveva essere servito dopo. (...) Poi lei risaliva nella stanza di Sri Aurobindo per assistere alla sua passeggiata, di solito alle undici di sera, ma in certe occasioni anche all'una! Tornava mezz'ora o un'ora più tardi per lavargli gli occhi con un liquido azzurro detto "l'acqua azzurra" e per massaggiargli delicatamente il torso con una crema bianca e profumata. Questo era il suo ultimo servizio della giornata.(...)
(...) Anche dopo la partenza della Madre, Sri Aurobindo restava sveglio e, soltanto quando veniva a sapere che si era ritirata, spegnevamo le luci, verso le due del mattino. Era mio compito spegnere l'ultima lampada. L'interruttore era sopra il piede del suo letto e mentre allungavo la mano lo guardavo e ricevevo di ritorno il suo dolce ed impersonale sorriso; poi la luce se ne andava, ad eccezione di una lampada notturna che restava accesa. Allora anche noi riposavamo, dormendo nella stessa stanza. (...)
(...) "Dormiva di notte?" era una domanda molto ricorrente. In apparenza dormiva, ed anche a sufficienza. La Madre e lui stesso insistevano sempre sull'osservare normali regole di salute; dobbiamo mangiare e dormire bene. Perciò, se egli aveva un bisogno fisico di cibo poteva avere anche quello di dormire, come noi, con la differenza che il nostro sonno è un pesante tuffo nell'incoscienza dove dimentichiamo tutto, mentre uno yoghi dorme coscientemente. (...)
(...) Questa è l'immagine completa della vita esteriore di Sri Aurobindo, come noi la vedemmo e la vivemmo insieme durante i suoi ultimi dodici anni. Il programma rimase in generale costante sino alla fine, a parte qualche piccola variazione causata dalle circostanze. Non ho detto nulla sulla sua vita interiore perché non mi è stata una visione o percezione di quel campo vasto e segreto, né ebbi il singolare privilegio di Arjuna di vedere il suo Visvarupa [Manifestazione della Forma Universale], a parte qualche fuggevole apparizione della sua statura Divina. (...)
(...) Naturalmente Sri Aurobindo restava Samam Brahman [Uguale e immutabile].
Egli aveva già visto dall'alto le nostre debolezze ed i nostri difetti ed era preparato ad essi quando ci accettò per il suo servizio; non mostrò mai fastidio, al contrario, ci perdonò tutti. Sebbene fosse impersonale e raramente pronunciasse il nostro nome per chiedere qualcosa, c'era una dolcezza ineffabile nella sua Presenza. E durante il pranam per i nostri compleanni e nei giorni di Darshan ci compensava di tutta la sua mancanza di comunicativa sciogliendosi in amore ed affetto paterno e amichevole. Ci accarezzava il capo, premendolo a lungo con le sue mani calde e vellutate e ci guardava negli occhi con la tenerezza della sua dolce personalità. Satyendra mi disse che, quando per il suo compleanno sfregava dell'uttar [Profumo d'origine mussulmana] su una mano di Sri Aurobindo, egli porgeva anche l'altra.
Il suo costante e silenzioso amore e la sua compassione sono l'immagine che splende sempre luminosa nelle profondità dei nostri cuori.
Il libro "Dodici anni con Sri Aurobindo" di Nirodbaran è disponibile tradotto integralmente in lingua italiana presso lo Sri Aurobindo Ashram Pondicherry India. Più specificatamente potrà essere ordinato presso la libreria ufficale dell'Asharam Sabda di cui riportiamo il link sabda.sriaurobindoashram.org/