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Sri Aurobindo - Il Guru
Il Guru
L'amico divino

Il Maestro segreto e il Guru

Ci sono tre punti della Gita che hanno un significato spirituale quasi simbolico e tipico dei rapporti e dei problemi più profondi della vita spirituale e dell'esistenza umana nei suoi principi. Essi sono: la divina personalità del maestro, le sue relazioni caratteristiche con l'allievo e l'occasione del suo insegnamento. Il maestro è Dio stesso fatto uomo; il discepolo è, per usare il linguaggio moderno, l'uomo più rappresentativo del suo tempo, amico intimo dell'avatàr (il Maestro) e suo strumento prescelto, suo protagonista in un'opera e in un combattimento imponenti, il cui segreto disegno, ignorato dagli attori, è conosciuto soltanto dal Dio incarnato che dirige ogni cosa restando dietro il velo della sua insondabile saggezza; (...). (Ma) la presenza infinita, nel suo splendore senza veli, sarebbe troppo abbagliante per l'isolata insignificanza dell'uomo naturale e individuale. Diviene necessario un punto d'unione che permetta all'essere naturale e individuale dell'uomo di vedere nel Divino universale un essere a lui vicino, e non solamente un Divino onnipotente che tutto sostiene mediante un Potere universale e incommensurabile. Ha bisogno di un Divino che prenda forma umana e, in una relazione individuale e intima, lo sostenga e guidi sino all'unità. Il Divino abita l'anima e il corpo umani, riveste la forma e la mente umane. Assume le relazioni umane nelle quali l'anima finge di sottomettersi al corpo mortale, e queste trovano in Dio il pieno significato e l'ultima realizzazione.

(Bisogna inoltre sottolineare che se) per lo spirito liberato e forte, la forma dell'Essere universale e trascendente è un potente stimolo che incoraggia e fortifica, una sorgente di potere, una visione che sublima, che armonizza, che tutto giustifica, per l'uomo comune è orrida, terrificante, indescrivibile. (E per risolvere questa impasse) esiste la gentile forma mediatrice del divino Nàràyana , il Dio vicino all'uomo e nell'uomo, l'Auriga nella battaglia e nel viaggio, con le quattro braccia di nume tutelare, simbolo umanizzato del Divino e non più universalizzato dai milioni di braccia. È l'aspetto mediatore che l'uomo deve avere costantemente davanti a sé per essere sostenuto. Questa figura di Nàràyana simbolizza la verità rassicurante. Essa rende vicina, viva, visibile e sensibile — alla vita e allo spirito interiori dell'uomo - la vasta gioia spirituale in cui si adempiono, in un meraviglioso e promettente slancio, e oltre un formidabile movimento ciclico di avanzamento e di regresso, la marcia e il progresso universali.

Dai Saggi sulla Gita di Sri Aurobindo


Jagad-guru

Guida e maestro supremo dello Yoga integrale è la Guida interiore, l'istruttore del mondo, lo jagad-guru, nascosto in noi. L'istruttore del mondo disperde la nostra oscurità con la luce abbagliante della conoscenza; e questa luce diviene in noi la gloria crescente della sua rivelazione. Progressivamente svela in noi la sua natura di libertà, di beatitudine, d'amore, di potere, di esistenza immortale, proponendoci il suo divino esempio come nostro ideale per la trasformazione della nostra esistenza inferiore. Infondendo in noi il suo influsso e la sua presenza, permette all'individuo d'identificarsi con l'Universale e il Trascendente. Qual è il suo metodo, quale il sistema? Tutti e nessuno. Il suo metodo consiste nella naturale organizzazione dei processi e dei più alti movimenti di cui la nostra natura sia capace. Lo jagad-guru, si occupa dei più infimi dettagli e delle azioni apparentemente più insignificanti con la stessa cura minuziosa che adopera per le cose più grandi, in tal modo i movimenti superiori della natura finiscono per innalzare tutto sino alla Luce e trasformare tutto. Nel suo yoga nulla è troppo piccolo per non essere utilizzato, nulla troppo grande per non essere tentato. Nello stesso modo in cui il servitore e discepolo del Maestro non deve avere né orgoglio né egoismo, poiché tutto per lui e in lui viene compiuto dall'alto, non deve avere nemmeno il diritto di scoraggiarsi a causa delle insufficienze personali o dei vacillamenti della sua natura, perché la Forza che lavora in lui è impersonale e infinita.

Riconoscere pienamente questa Guida interiore, Maestro dello yoga, luce e Signore di tutti i sacrifici, scopo dei nostri sforzi, è di capitale importanza nel cammino della perfezione integrale. Poco importa che al principio ci appaia come una Saggezza, una Potenza, un Amore impersonale al fondo delle cose, o come Assoluto che si manifesta nel relativo e lo attira, o come il nostro Sé supremo e come il Sé supremo di tutto, o come una divina Persona in noi e nel mondo, sotto uno dei suoi innumerevoli nomi ed una delle sue innumerevoli forme, o come un ideale concepito dall'intelletto. Alla fine sapremo che è tutte queste cose, e più di tutte queste cose insieme. La porta mentale attraverso la quale ci avviciniamo al Divino deve necessariamente abbracciare tutte le varie nature, nel rispetto dell'evoluzione passata e della natura presente di ciascuno.


L'ego, ancora umana

In principio la Guida interiore è spesso velata dall'intensità stessa dello sforzo personale, come anche dall'ego preoccupato di se stesso e dei propri fini. Man mano che aumenta in noi la chiarezza e il vortice dell'egoismo cede il passo ad una più serena conoscenza di noi stessi, finiremo per scorgere la luce crescente in noi. La riconosceremo poi a posteriori osservando come tutti quei movimenti oscuri e contraddittori avessero in realtà un fine, verso cui erano diretti, che cominciamo solo in quel momento ad intravedere: e comprenderemo come, ancor prima che imboccassimo la via dello yoga, l'evoluzione della nostra vita fosse già deliberatamente avviata verso questa svolta decisiva. Cominceremo a capire allora il senso delle nostre lotte e dei nostri sforzi, dei nostri successi e delle nostre sconfitte, saremo infine capaci di afferrare la ragione delle nostre prove e delle nostre sofferenze, d'apprezzare l'aiuto che ci è stato dato da tutto ciò che ha opposto resistenza e ci ha feriti, dell'utilità delle nostre imperfezioni e delle nostre stesse cadute.

Riconosceremo poi la divina direzione, non più a posteriori ma istantaneamente, nel modellarsi dei nostri pensieri ad opera di un Veggente trascendente, della nostra volontà e dei nostri atti come opera di un Potere che tutto abbraccia, della nostra vita emotiva come opera di una Beatitudine e di un Amore che tutto attirano e tutto assimilano. La riconosceremo anche in una relazione più intima e personale che da principio ci sfiorerà ed alla fine ci rapirà; sentiremo l'eterna presenza dell'Amico, dell'Amato, del Maestro supremo. La riconosceremo nell'intimo del nostro essere a misura che si svilupperà l'affinità, l'unità ed una più larga esistenza, perché finiremo per prendere coscienza che questo miracoloso sviluppo non è il risultato dei nostri sforzi, ma di una eterna Perfezione che ci modella a sua immagine. Colui che è il Signore o l'Ishvara delle filosofie yogiche, la Guida dell'essere cosciente, caitya guru o antaryâmin, l'Assoluto del pensatore, l'Inconoscibile dell'agnostico, la Forza universale del materialista, l'Anima suprema e la suprema Shakti, l'Uno a cui le religioni danno forme e nomi diversi, Lui è il Maestro del nostro yoga.

Vedere, conoscere, divenire e realizzare quest'Uno nel nostro essere interiore ed in tutta la nostra natura esteriore, fu da sempre lo scopo segreto della nostra esistenza incarnata, e ne diviene adesso consapevolmente il movente. Essere coscienti di Lui in tutte le parti del nostro essere e in tutto ciò che la mente, separatrice e analitica, considera come estraneo al nostro essere è il coronamento della coscienza individuale. Essere da lui posseduti e possederlo in noi stessi e in tutte le cose, rappresenta la sommità di ogni dominio e di ogni padronanza. Gustare la sua presenza in tutte le esperienze, passive o attive, nella pace e nel potere, nell'unità e nella differenza, tale è la gioia che il jiva, l'anima individuale calata nel mondo, cerca velatamente. La finalità dello yoga integrale può dunque così definirsi: una traduzione nell'esperienza personale della Verità che la natura universale ha nascosto nel proprio seno e che essa stessa cerca di portare alla luce. Una conversione dell'anima umana in divina e della vita naturale in divina esistenza.


Il Maestro segreto e le difficoltà dell'uomo

La via più sicura per questo compito integrale è trovare quindi il Maestro segreto che dimora in noi, rimanere costantemente aperti al Potere divino, che è ad un tempo Saggezza ed Amore, e rimetterci a lui per condurre a termine la nostra conversione. Ma in principio è molto difficile per la coscienza egoista fare ciò, anche solo in minima parte. E se anche arrivasse a farlo sarebbe ancora più difficile per essa compierlo perfettamente e in tutte le fibre della nostra natura. E' difficile perché le nostre abitudini egoiste di pensiero, sensazioni e sentimenti, bloccano i passaggi attraverso i quali potremmo arrivare alla necessaria percezione, e anche perché la fede, la sottomissione e il coraggio richiesti su questo sentiero non sono facili ad ottenersi per l'anima velata dall'egoismo. Il modo con cui il Divino opera non è quello che la mente egoista desidera o approva; poiché il Divino si serve dell'errore per raggiungere la verità, della sofferenza per arrivare alla beatitudine e dell'imperfezione per arrivare alla perfezione. Di fatto l'ego non può vedere e capire dove viene condotto: si ribella all'indirizzo, perde fiducia e coraggio. E queste deficienze avrebbero poca importanza perché la divina Guida interiore non si offende per la nostra rivolta, non si scoraggia dalla nostra mancanza di fede, né viene respinta dalla nostra debolezza; possiede tutto l'amore di una madre e la pazienza del maestro. Ma noi, non accettando la sua direzione, perdiamo coscienza dei suoi benefici, anche se non ne perdiamo tutti gli effetti e il risultato finale. Il nostro consenso viene meno, in tali casi, perché non arriviamo a distinguere il nostro Sé superiore dal sé inferiore attraverso cui la Guida prepara la sua rivelazione. Non possiamo scorgere Dio in noi stessi e nel mondo a causa dei suoi stessi procedimenti, soprattutto perché opera in noi servendosi della nostra stessa natura e non attraverso arbitrari miracoli. L'uomo reclama miracoli per avere la fede; vuol rimanere abbagliato per vedere. Questa impazienza, questa ignoranza possono divenire fonte di grandi pericoli e disastri se, ribellandoci alla direzione divina, facciamo appello a qualche forza corruttrice, più soddisfacente per i nostri impulsi ed i nostri desideri, alla quale chiediamo di guidarci conferendo abusivamente ad essa il divino Nome.

Ma se è difficile per l'uomo credere in qualcosa d'invisibile dentro di sé, gli è più facile credere in qualcosa che può immaginare fuori di sé. Il progresso spirituale della maggior parte degli esseri umani esige un sostegno esteriore, un oggetto esterno di fede. L'uomo ha bisogno di una immagine esteriore di Dio, o di un rappresentante umano — una incarnazione, un profeta o un guru; talvolta li esige e li ottiene entrambi e, secondo i bisogni dell'anima umana, il Divino si manifesta sotto la forma di un dio, di un uomo divino, o semplicemente di un uomo quale veste grossolana che, nascondendo la divinità, ne costituisce il veicolo.


Il Tutto è troppo

La disciplina spirituale indù soddisfa questi bisogni dell'anima con le sue concezioni dell'ishta devatâ, dell'avatàr e del guru. Per ishta devatâ o divinità prescelta, deve intendersi non una qualsiasi potenza inferiore, ma un nome e una forma del divino trascendente universale. Quasi tutte le religioni sono basate su una di queste forme, su uno di questi nomi del divino e se ne servono. La necessità a cui obbedisce l'anima umana è evidente. Dio è il Tutto e più che Tutto. Ma che cosa vuol dire essere più che Tutto? come può l'uomo concepire Dio? Nei primi passi il Tutto è troppo per lui, perché essendo la sua attività cosciente limitata ed esclusiva, non può aprirsi che a ciò che è in armonia con la sua limitata natura. Il Tutto contiene cose troppo difficili per la sua comprensione o che sembrano terribili per la sua eccessiva sensibilità e per le sue lievi sensazioni. Oppure non riesce a concepire come Divino ciò che è troppo al di fuori del cerchio ristretto delle sue ignoranti e parziali concezioni. Non può avvicinarvisi, né riconoscerlo. Ha bisogno di concepire Dio secondo la propria immagine, o sotto una forma che lo trascenda, ma che si accordi con le sue concezioni più alte o che rimanga alla portata dei suoi sentimenti e della sua intelligenza. Altrimenti gli sarà difficile entrare in contatto col Divino e comunicare con lui.


Il Guru, intermediario umano

Anche in questo caso la natura reclama un intermediario umano onde avvertire il Divino in qualcosa che sia prossimo alla sua umanità, e sia percettibile attraverso la sua influenza e il suo esempio umani, dando soddisfazione a questa necessità con la manifestazione divina sotto forme umane — Cristo, Krishna, Buddha. E se per qualcuno ciò fosse ancora troppo difficile, ecco il Divino presentarsi attraverso un intermediario meno sublime e remoto: il profeta o il maestro. Molti fra coloro che non possono concepire l'Uomo divino o rifiutano di accettarlo, sono pronti ad aprirsi all'uomo superiore, che non prende nome d'incarnazione, ma di rappresentante divino o maestro del mondo.

E pur tuttavia non basta ancora in quanto sono necessari un influsso vivo, un esempio vivo, un insegnamento diretto. Sono rari coloro che possono fare a meno d'un Maestro passato e del suo insegnamento, d'una incarnazione passata e del suo esempio o della sua influenza, di una forza dinamica nella loro vita. La disciplina indù soddisfa anche questo bisogno con la relazione tra guru e discepolo. E' possibile, talvolta, che il guru sia un'Incarnazione o un Istruttore di portata mondiale, ma è sufficiente che rappresenti per il discepolo la saggezza divina e gli trasmetta qualche cenno dell'ideale divino o gli faccia sentire la relazione vissuta dell'anima umana con l'Eterno. Il sâdhaka dello yoga integrale utilizzerà questi aiuti secondo la sua natura; ma è necessario che ne eviti le limitazioni e respinga la tendenza esclusivistica della mente che nel suo egoismo grida a gran voce: « Mio Dio, mia Incarnazione, mio Profeta, mio Guru », opponendosi a tutte le altre realizzazioni con spirito settario e fanatico. Ogni settarismo, ogni fanatismo deve essere respinto come incompatibile con l'integralità della realizzazione divina.

Ben altrimenti il sàdhaka dello yoga integrale non rimarrà soddisfatto finché non avrà incluso nelle proprie concezioni tutti gli altri nomi e tutte le altre forme della Divinità e non avrà scorto il suo Ishta Devatâ in tutti gli altri Ishta Devatâ, finché non avrà unito tutti gli Avatar nell'unità di Colui che discende negli Avatar, e fuso la verità di tutti gli insegnamenti nell'armonia dell'eterna Saggezza.

Il sàdhaka dello yoga integrale non dimenticherà neanche lo scopo di questi aiuti esteriori, che è quello di svegliare l'anima alla presenza divina in lui. Nulla è definitivamente compiuto finché questo non sia compiuto. Non basta adorare Krishna, Cristo o Buddha se il Buddha, Cristo o Krishna non si rivelano e non si formano in noi. E tutti gli altri simboli e aiuti, egualmente, non hanno altro scopo se non quello di gettare un ponte tra lo stato dell'uomo non redento e la rivelazione divina in lui.

Il maestro dello yoga integrale seguirà dunque come potrà il metodo del maestro interiore. Condurrà il discepolo secondo la propria natura.


Il Guru

L'insegnamento l'esempio, l'influsso

L'insegnamento l'esempio, l'influsso, sono i tre strumenti del guru. Ma il saggio istruttore non tenterà di imporsi o di imporre le sue opinioni all'accettazione passiva di una mente ricettiva; vi seminerà solamente ciò che è sicuro e produttivo, come un seme che poi crescerà grazie alle divine cure interiori. Cercherà di svegliare piuttosto che di istruire; si sforzerà di sviluppare le facoltà e le esperienze attraverso un procedimento naturale ed un libero sbocciare. Fornirà un metodo che sarà un aiuto, un mezzo pratico, non una formula imperativa o un'abitudine invariabile. Starà in guardia contro tutto ciò che potrebbe mutare i mezzi in limiti o meccanizzarne la pratica. Il solo compito che deve attribuirsi è quello di risvegliare la luce divina e mettere in moto la forza divina della quale egli non è che un mezzo ed un ausilio, un corpo o un canale.

L'esempio è più potente dell'insegnamento, ma non è l'esempio fornito dall'atto esteriore o dal carattere personale che ha la maggiore importanza. Anche ciò, certo; ma quello che più stimolerà l'aspirazione al volo negli altri sarà il fatto centrale della realizzazione divina che presiede alla vita, allo stato interiore e a tutte le attività del guru stesso. E' questo l'elemento essenziale ed universale; il resto appartiene alla persona e alle circostanze individuali. Il sàdhaka deve sentire questa realizzazione dinamica nel guru e riprodurla in se stesso seguendo la propria natura, non deve sforzarsi di imitare l'atteggiamento esteriore del suo guru, ciò che potrebbe far sì che la sàdhana riuscisse più sterilizzante che produttrice di frutti veri e spontanei.

L'influsso è ancora più importante dell'esempio. Esso non è l'autorità esteriore del maestro sul discepolo, ma il potere del contatto, della presenza, della prossimità della sua anima all'anima, nella quale infonde, anche in silenzio, ciò che egli stesso è e possiede. E' il segno supremo del Maestro. Più il maestro è grande, tanto meno deve rappresentare per il discepolo l'istruttore, e tanto più deve essere per lui una Presenza che diffonde (anche su coloro che stando attorno a lui siano ricettivi) la luce, la potenza, la purezza e la beatitudine che costituiscono la sostanza di quella stessa presenza.

Un altro segno del maestro dello yoga integrale è dato dal fatto che non si arrogherà il titolo di guru con spirito di vanità e di umana glorificazione. Il suo compito, se ne ha uno, gli è stato affidato dall'alto; egli non è che un canale, un intermediario, un rappresentante. E' un uomo che aiuta i suoi fratelli, un fanciullo che conduce dei fanciulli, una luce che accende altre luci, un'Anima risvegliata che risveglia altre anime, e, al massimo, un potere ed una presenza del Divino che chiama a sé altri poteri del Divino.

Dalla Sintesi dello Yoga - Lo Yoga delle opere divine di Sri Aurobindo

Una lettera di Sri Aurobindo a suo fratello Barin

Per approfondire e sviluppare il concetto di Guru nella visione di Sri Aurobindo riportiamo la famosa lettera che Egli scrisse al più piccolo dei suoi fratelli, Barindra Kumar Ghose detto familiarmente Barin.


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